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coscienza, mi assicura che col libero mio dire, io non feci atto nè di avversione alla dinastia, nè di mal animo verso i congiuranti: fui storico sincero. e veridico, e curante solo dell'approvazione dei buoni e sprezzante quella dei pusilli e dei tristi.

Se ceduto avessi a spilorcie mire economiche, od a quel gretto sentimento di semi-patrio amore che circoscrive l'affetto di tanti piemontesi alle provincie rette dalla Casa di Savoia, io, saltando di piè pari l'inetta dominazione del francese Direttorio ed il lungo periodo imperiale, avrei potuto restringere in poche pagine gli eventi accaduti dalla pace di Cherasco alla Ristorazione: ma già il dissi ed or lo ripeto. Le glorie, le sventure, gli errori d'Italia appartengono agl'italiani d'ogni provincia, tanto al veneto che al sardo, tanto al subalpino che al siculo. Nè serve che qualche parte della penisola sia retta con libere leggi; sinchè lo straniero è accampato sull'italo suolo, noi non siam liberi: è un comun fato di servitù che ci opprime, ed ogni ben che menomo atto che ricordar ci possa che volemmo, vogliamo e vorremo, spero in Dio, esser nazione, è prezioso retaggio da mandare ai nipoti: obbrobrio a loro se scordar lo potranno.

I piemontesi furono molto appropriatamente qualificati da un recente scrittor francese, les grenadiers de l'Italie; e noi accettammo sempre con gioia il mandato di marciar primi alla pugna, e tolga Iddio che i figli nostri s'arretrino da questa pericolosa ma sublime missione: ma tra le file napoleoniche

gloriosamente pugnarono e veneti e lombardi e modenesi e romagnoli, e molti figli della vetusta Roma acquistarono chiarezza tale di nome da dimostrare come essi fossero non indegni figli di quella dominatrice dell'orbe intero.

Per queste considerazioni adunque, e perchè non mi parve equo furare della loro parte di gloria quei piemontesi nativi delle provincie state aggregate al regno d'Italia, io toccai per sommi capi le campagne napoleoniche arrestandomi alquanto più su quelle di Spagna e d'Italia, in cui i connazionali nostri ebbero maggior parte.

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Avrei desiderato poter dare più esatte notizie su tanti generosi che col loro sangue e col loro valore fecero illustre il nome piemontese nelle diverse armate europee: ma convien pur dirlo a vergogna dei nipoti quei che sanno con solerte cura eredare le sostanze avite, poco si occupano a raccogliere quei dati che tramanderebbero onorato ai posteri il nome degli avi, e non di rado avviene che i parenti ignorino le gesta del parente, dell'avolo il nipote, del proprio padre il figlio. Non così certamente si custodiscono le militari tradizioni nei popoli, ma pure così accade in questo nostro secolo speculativo!

Possa questa mia fatica incontrare il tuo aggradimento, o lettore, rinfuocolare nel cuor tuo la carità di patria e l'odio per lo straniero, ed io dirommi pago.

CAPITOLO I.

Dall'anno 1796 al 1798.

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SOMMARIO.

Conseguenze per l'Italia della pace della Sardegna con Francia Illusioni italiane Moti rivoluzionarii in Piemonte Malcontento generale per la pace — Riduzione dell'esercito Stato di esso Masnadieri Morte del Re Suo carattere Primi atti del successore Balbo a Parigi

di alleanza

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Divisione sarda a Novara

Progetti

Carestia Congiure - Rivolte - Carnificine Bonaparte in Torino Dissapori per la guerra colla Repubblica Ligure Malafede del Direttorio Cessione della cittadella di Torino O Continuano le turbolenze Rinunzia del Re e sua partenza dal Piemonte

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- Riflessioni.

Nella prima parte della patria storia che io impresi 1796 a narrare, mi occorse di tessere gli eventi di una guerra, se non felice, almeno gloriosa, perchè dall'esposizione di essa noi potemmo scorgere come i subalpini, schierati sotto il nazionale vessillo del loro re, riuscissero a fare per lungo tempo del Piemonte salda barriera alle conquiste dei francesi. Ma ohimè! che or giungono per la nobile Italia i tristissimi giorni! perchè, caduto l'antemurale subalpino, breve e facile conquista furono per le galliche falangi e la ferace Lombardia, e la pacifica Toscana, e la clerical Roma; ed anche il reame di Napoli dovette l'effimera sua esistenza alla sola

precipitazione colla quale i suoi sovrani, perfidi sempre, ogni qual volta credettero poterlo fare impunemente, tremanti ora dinnanzi alla vincitrice spada del Bonaparte, abbiettamente supplichevoli riuscivano con vergognosa pace a protrarre di alcuni mesi la loro caduta.

Nè certamente vorrammi il lettore appuntare di errore per aver io chiamata facile la conquista della Lombardia, che pur costò al primo capitano del secolo quelle immortali campagne del 1796 e 97, fra tutte le sue belle campagne riputate bellissime: no, sanguinosa e penosissima guerra fu quella combattuta tra francesi ed austriaci in quell'epoca, e non certamente ingloriosa per i secondi, che pur fur vinti: ma se si pon mente alle condizioni dell'esercito vincitore, inferiore di molto alle austriache armate che gli vennero successivamente opposte; se si considera come soli 18 mesi dopo l'armistizio di Cherasco, Napoleone deltasse vittoriosamente alla umiliata Austria le condizioni della pace a Campo-Formio, ben si dovrà meco convenire, che vinta l'armata del guardian delle Alpi, fu fin d'allora deciso il destino d'Italia.

Nè mi si dica che gran parte ebbe in questo risultato la natura del suolo, che aperto e unito non presentava più nelle pianure lombarde la facile resistenza delle Alpi: perchè in primo luogo Italia tutta, intersecata qual è da fiumi e torrenti, seminata di colline e coperta allora di piazze forti, presentava una facile difesa dal Roia al Tronto; nè il Po e l'Adige, nè Mantova e Verona erano deboli ostacoli. Secondariamente poi neppure le alpestri e selvaggie gole del Tirolo, non la bella posizione di Caldiero, nè quella della Corona, non il

forte passo di Calliano, non il monte Tarvis valsero a trattenere il gagliardo condottiero di Francia, l'uomo fatato, che per molti anni ancora non dovea trovare chi fosse da tanto da validamente opporsi al distruttore suo brando.

E se dalle armate imperiali, noi volgiamo lo sguardo alla prussiana, forse che troviamo che dessa abbia fatto miglior prova dieci anni dopo a Jena? forse che maggior resistenza offrirono le tre nordiche armate ad Austerlitz nel 1805?

Mi si dirà che nè valore di truppe, nè sapienza di capi, nè fortezza di luoghi valevano a resistere, perchè era scritto nel destino che allora tutto dovesse cedere dinanzi alla gigantesca corsa del gran guerriero: e questo io concederò; ma chiederò allora chi vinse Colli ed i piemontesi a Ceva ed al Mondovì? non forse l'uomo stesso che prostrar dovea Europa tutta ai suoi piedi?

Convengasi adunque meco che poche armate europee lottarono così a lungo contro le repubblicane falangi come la sarda, e che, domato il Piemonte, l'Italia era già quasi conquistata.

E tristi invero furono i giorni che in allora per essa spuntarono, e resi più tristi ancora dal sempre rinnovantesi errore di noi italiani, di riporre cioè la fiducia nostra in estranie genti, in estranie spade! Allora, come per lo passato, e come in tempi a noi più vicini, tutti gli uomini onestamente od ambiziosamente vogliosi di maggiori libertà, di nuove forme governative, alla Francia rivolsero l'intento sguardo, quasi che quella nazione, che insanguinato avea la patria terra di fraterno sangue, e conculcato ogni sacro ed umano diritto, di

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