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sima, e nell' Odissea diverse parti, o Episodj, che hanno la convenevole misura in se stessi d' una giusta Azione drammatica. Benchè (dice egli) non sia perciò punto condannabile Omero, avendo egli conservato l'unità dell' Azione sua principale, quanto dalla natura dell' Epico Poema è permesso.

Non so perchè abbia qui taciuto Aristotile il merito più grande del Tragico Poeta, cioè quello di soddisfare, scrivendo, all'indispensabile impegno di scordarsi affatto di se medesimo: e di non parlar mai col proprio, ma sempre col cuore altrui; arte, che suppone una ben difficile conoscenza, ed una non comune attività a potere assumere a suo talento il carattere, cioè le disposizioni dell'animo d'un personaggio introdotto; arte, che produce il più esquisito di tutti i piaceri, mentre rende visibili le diverse, ne' diversi individui, interne alterazioni degli affetti umani; de'quali, a seconda del bisogno, investito il Poeta, ne investe l'animo de' suoi spettatori, e seco dolcemente lo trasporta dove gli aggrada; arte magistralmente insegnata da Orazio nella sua Poetica. Che la sola beltà pregio bastante

che

D'un Poema non è, senza quel dolce Incanto seduttor, che in mille affetti, A voglia sua, lo spettator trasporta. (129) Ed arte infine così al Poeta tragico necessaria, negletta dal gran Torquato, lo ha reso nel suo Torrismondo tanto inferiore a se stesso; quanto nell'immortal suo Goffredo è superiore ad ogni altro.

Si decide finalmente che avendo la Tragedia i vantaggi di cagionare un più vivo, e di lei proprio, sen sibilissimo piacere, e di conseguire più certamente, e più sollecitamente il suo fine, è più perfetta indubitatamente dell' Epopea.

E qui, facendo, come è suo costume, il brevissimo epilogo delle materie, che suppone di aver lucidamente spiegate, termina Aristotile il suo trattato dell' Arte Poetica.

N. B. Le Note si trovano in fine alla pag. 499.

DELL' ARTE POETICA

EPISTOLA (1) *

DI Q. ORAZIO FLACCO

A' PISON I. (2)

ad un Pittor venisse mai talento

SD'innestar, per capriccio, a capo umano

Cavallina cervice: e varie penne
Adattar procurasse a membra insieme
Quinci, e quindi accozzate; onde una vaga
Donzelletta al di sopra, in sozzo pesce
Facesse terminar; ditemi: ammessi
A spettacolo tal sapreste, amici,
Le risa trattener? Simile appunto
Giudicate, o Pisoni, a tal pittura
Libro di vane, e stravaganti idee,
Come sogni d'infermo: in cui nè capo
Può trovarsi, nè piè, che ad una sola

Humano capiti cervicem pictor equinam
Jungere si velit, et varias inducere plumas,
Undique collatis membris, ut turpiter atrum
Desinat in piscem mulier formosa superne;
(5) Spectatum admissi risum teneatis amici!
Credite Pisones, isti tabulae fore librum
Persimilem, cujus, velut aegri somnia, vanae
Fingentur species: ut nec pes, nec caput uni

(*) Vedi Note nel fine.

Forma convenga. Egual poter (direte)
Di tentar checchessia sempre fu dato
Al Poeta, al Pittor. Lo so. Concedo
Questa licenza, ed a vicenda anch'io
La dimando per me: ma non in guisa
Che sia però col placido il feroce
D'unir permesso, ed accoppiar si possa
I serpenti agli augei, le tigri all'igne.

Taluno ordisce opre sublimi, e spesso
Per vana pompa alla sua tela appunta
Di porpora un ritaglio: il bosco, e l'ara
Descrivendo or di Cinzia: or la piovosa
Iride, e il Reno or per campagne amene
Il serpeggiar di frettoloso rio:

Ma qui non era il sito lor. Saprai
Forse un cipresso anche imitar: che giova
Se franto il pin, se disperato, a nuoto,
Esce del mar chi ti pagò per farsi
Pinger da te? Fu incominciata un'urna,
Come, al girar della volubil ruota,

Vien poi fuori un orciuol? Che che si faccia,
Tutto in somma esser dee semplice, ed uno.

(sim:

Reddatur formae. Pictoribus, atque Poetis
(10 Quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.
Scimus, et hanc veniam petimusque, damusque vicis-
Sed non ut placidis coeant immitia, non ut
Serpentes avibus geminentur, tigribus agni.
Inceptis gravibus plerumque, et magna professis,
(15) Purpureus, late qui splendeat unus, et alter
Assuitur pannus, cum lucus, et ara Dianae,
Et properantis aquae per amoenos ambitus agros,
Aut flumen Rhenum, aut pluvius describitur arcus.
Sed nunc non erat his locus: et fortasse cupressum
(20) Scis simulare; quid hoc? Si fractis enatat exspes
Navibus, acre dato qui pingitur? amphora coepit
Institui, currente rota cur urceus exit?

Denique sit quodvis simplex dumtaxat, et unum.

1

Suol per lo più l'immagine del Buono
(Padre, e di padre tal figlj ben degni )
Noi Poeti ingannar. Breve esser voglio;
Divengo oscuro. A chi nettezza affetta,
Manca nervo, ed ardir. Gonfio si rende
Chi grande esser desìa. Rade il terreno
Chi troppo cauto ogni procella evita:
Chi a variar mirabilmente un' opra
Attende sol, pinge delfini in bosco,
Cinghiali in mar. Che in altro error conduce
La fuga d'un error priva dell' arte.
Quel, d'Emilio cola presso la scuola,
Artista dozzinal l'unghie in metallo
T'esprimera: fia d'imitar capace
Un molle crin: sempre infelice poi
Nella somma dell' opra: il tutto insieme
Perchè accordar non sa. Per me, se avessi
Qualche cosa a compor, tanto vorrei
Esser colui, quanto uno sconcio naso
Trovarmi in faccia: ed esser poi distinto
Per gli occhi neri, e per le nere chiome.
Materia, a cui sien vostre forze eguali,
Eleggete, o scrittori: ed a quai peso

Maxima pars vatum (pater et juvenes patre digni ) (25) Decipimur specie recti: brevis esse laboro; Obscurus fio: sectantem levia, nervi

Deficiunt animique: professus grandia, turget:
Serpit humi tutus nimium, timidusque procellae:
Qui variare cupit rem prodigialiter unam,
(30) Delphinum sylvis appingit, fluctibus aprum.
In vitium ducit culpae fuga, si caret arte.
AEmilium circa ludum faber imus et ungues
Exprimet, et molles imitabitur aere capillos:
Infelix operis summa, quia ponere totum
(35) Nesciet: hunc ego me, si quid componere curem,
Non magis esse velim, quam pravo vivere naso,
Spectandum nigris oculis, nigroque capillo.
Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam

Sien atti, o no gli omeri vostri, in mente
Lungo tempo volgete. A chi l'impresa
Col poter misurò, facondia mai,

:

O lucido al bisogno ordin non manca.
La grazia poi dell'ordine, e il valore,
A parer mio, consiste in ciò che sappia
Il destro autor sul cominciar dell'opra
Di tutto ciò che dovra dir, qual parte
Subito esporre, e quale in altro tempo
Differir sia vantaggio: in che si possa
Più compiacer: che trascurar convenga.
L'uso, e il dispor delle parole esige
Gentilezza, e cautela. Allor sarai
Egregio parlator; quando le voci
Note ad ognun, mercè la cura industre
Che in collocarle avrai, nuove parranno.
Se poi fia d' uopo con recenti segni
Nuove cose indicar, ben tai formarne
Ti occorrerà, che non udiro innanzi
I succinti Cetegi: e fia permessa
La modesta licenza: e, se prudente
Trar le saprai dalle sorgenti Argive,

Viribus, et versate diu, quid ferre recusent,
(40) Quid vaicant humeri. Cui lecta potenter erit res,
Nec facundia deseret hunc nec lucidus ordo.
Ordinis haec virtus erit, et venus ( aut ego fallor)
Ut jam nunc dicat: jam nunc debentia dici
Pleraque differat, et praesens in tempus omittat:
(45) Hoc amet, hoc spernat promissi carminis author.
In verbis etiam tenuis, cautusque serendis,
Dixeris egregie, notum si callida verbum
Reddiderit junctura novum. Si forte necesse est
Indiciis monstrare recentibus abdita rerum;
(50 Fingere cinctutis non exaudita Cethegis
Continget, dabiturque licentia sumpta pudenter.
Et nova, fictaque nuper habebunt verba fidem; si
Graeco fonte cadant, parce detorta. Quid autem

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