Poichè n'udi le dolci note sciogliere Sgombrò dal sen la prima sua mestizia: Ma tosto il volto la vergogna l'occupa, E'l colorisce di novella porpora. E già del mar dalle spelonche concave Nettuno, ed Anfitrite, e Dori, e Nereo, Ed Ocean colla sua bella Tetide
Su varie conche accompagnati vennero Dagli arditi Tritòni, e da Nereidi. Non lasciò di venire il vecchio Proteo, Ino ancor venne, e Melicerta, e Glauco, Che seco unite le Sirene trassero. Altri i delfini, e le balene pungono, Su cerulee conchiglie altri s'assidono, Altri d'intorno a lor fra l'onde guizzano; Qual manda suon dalla ritorta buccina, Qual dolce scioglie i maritali cantici; Altri le membra in strane danze ruotano, E fatto intorno al sommo Giove un circolo, Sino a'lidi di Creta l'accompagnano, Dov' egli prese la primiera immagine, E quivi l'Ore, che 'l celeste talamo D'eterni fiori, e nuove frondi sparsero, Furon ministre del divin conjugio.
ià porta il Sol dall' Oceàno fuore
Il suo splendore, e va spargendo intorno Novello giorno di letizia ornato
Scuotono i pini dall'antica chioma L'orrida soma, che li tiene oppressi,
E i monti anch'essi l'agghiacciate fronti
Sciolgono in fonti. La valle, e 'l prato in quelle parti, e in queste L'erbe riveste, e di fiorita spoglia Lieta germoglia, che da sciolta neve
E pure il verno or or del pigro gelo Il bianco velo avea per tutto steso, E d'ira acceso Borea, ove correa,
Ah ben conosco omai l'alta cagione, Che si dispone gli elementi tutti. Non più di lutti, e doglie il nostro petto
Nato sei tu, che con eterne leggi
Il moto reggi alle celesti sfere, E alle nere tempeste il freno, e ai venti
Nato sei tu, dal cui cenno e potenza Pende l'essenza, e 'l corso delle cose, Che sono ombrose agli occhi de' mortali
Quello tu sei, che agli elementi diede Natura e sede, e gli compose in pace; Talchè del Sol la face, un tempo oscura,
Tu alla terra, ed all'acqua il basso loco, E desti al fuoco più sublime sfera, E la sincera, e pura aria dappresso
Quello sei tu, che creò l'uom primiero, Che 'l grand' impero disprezzando, morse Il pomo, e corse in braccio al suo periglio
Tu per corregger l'uman germe immondo, Festi del Mondo un elemento solo, Si ch'alcun suolo non rimase asciutto
Quando sall di Proteo il gregge fido Sul caro nido degli eterei augelli, Ei daini snelli, non trovando sponda,
Or che d'alta pietà per noi si muove, In forme nuove ad emendar ci viene, Non con le pene gia dovute a noi
Ma pigliando in se stesso i proprj affanni, Per torci a' danni delle colpe gravi,
E acciò si lavi un infinito male
Ei mirò noi, come sdruscito legno Fra l'aspro sdegno d' Aquilone, e Noto, Che per l'ignoto pelago fremendo,
E come dopo un'orrida procella Amica stella aʼnaviganti appare, Che quieta il mare, e col suo lume fido
Tale il suo ajuto, e 'l chiaro esempio sorge: Che l'alme scorge a godimento eterno, Che mai per verno, o per estivo ardore
Or gli alti colli abbasseran le cime, E l'ime valli sorgeran fastose, E diverran le vie scabrose, e strane
Il superbo, che vil se stesso rende, Perchè dipende dall'ossequio altrui, I fasti sui lasciando, al Nume vero
E allor gli fia quella virtù concessa, Che da se stessa trae sommo piacere, Non dall'altere pompe, e dagli onori
Or che l'Autore della pace è nato, In ogni lato si diffonde lieta, E tutte accheta le feroci genti,
Talchè il furor dell' aquile Latine, Ch' aspre ruine ragunava intorno, E sempre adorno di novello acquisto
Traendo dietro de' Romani segni Provincie, e regni debellati, e vinti, Ei Regi avvinti ne' trionfi suoi
L'armi depone, ed in aratri duri Cangia le scuri sanguinose, e fiere, E le guerriere spade, e i fasci ostili
Che compariscono per la prima volta alla luce giusta l'Edizion di Parigi
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