Abbildungen der Seite
PDF
EPUB

annichilito; le opere vostre tutte le abbiamo distrutte, anco le tombe.

La legge del taglione ci attendeva a sua volta e giustamente ci rimproverava il — non fare agli altri quello che non vorresti fatto a te, ma non vi abbiamo creduto.

Addio Corvo Bonomo: il Codice delle leggi che componesti nel 1365 durò nella essenza fino al cessare del corpo; l'antichissima tua famiglia non conta che un solo individuo e sarà l'ultimo. Addio Domenico Pica, addio Adelmo Petachi, addio Antonio Dominici; quell' AVGVSTA CASA cui recaste nel 1382 il voto e la sommissione di Trieste, è sempre Sovrana di questa città. Addio Giovanni Antonio Leo, addio Domenico Burlo, non ha Trieste patito più eccidio, dacchè voi le impetraste salvamento da Pio II nel 1463. Addio Gian Francesco Bonomo; quel Convento in cui esalasti l'anima per trentadue ferite avute dai Veneti sulle contigue mura, dura ancora. Addio sventurate vittime delle discordie cittadine, addio Gian Antonio Bonomo, addio tu pure infelice Andrea Fisnich che col laccio al collo testavi. Addio gentil poeta latino Rafaele Zovenzoni, e voi onestissimi Stefano Renck, Giovanni Wassermann che stranieri avete redento da sventure la città. Addio Pietro Bonomo; le tue parole, il tuo amore di patria, il tuo coraggio, la tua saggezza, operarono il salvamento di Trieste, che preferisti a Vienna; l'instabilità delle cose umane tutto cangia, il palazzo ove davi si saggi consigli è ora ospitale di pazzi. Addio Pietro dei Giuliani; quelle cose che Carlo V non giunse a concederti per Trieste, le diede Carlo VI. Addio Andrea Rapicio fiore dei colti ingegni dell' età tua. Addio valoroso Daniele Francol. Addio faceto poeta italiano, Austriaco Wassermann. Addio Casimiro Donadoni; quell'emporio a formare il quale tanto adoperasti l'ingegno la penna e la parola, ha diffuso il nome suo per tutto il globo. Addio Cristoforo Bonomo-Stettner, cultore delle cose antiche. Addio Aldrago dei Piccardi, le bende vescovili non han più cinto il capo di triestino. Addio voi tutti che tanto avete amato questa città e che a fronte alta dicevate: Trieste è a noi patria.

RIPOSATE IN PACE

+

I.

LA PIAZZA ED IL PALAZZO.

Le città che non hanno reggimento e vita municipale, neppure hanno piazza; l'uomo ristretto ai bisogni della vita fisica, alla passività nel pubblico governo, allo isolamento, non ha bisogno che di strade per muoversi, di larghi per respirare aria più libera; al più ha bisogno di Mercato. L' indole delle città si manifesta alla loro costruzione e distribuzione, come l'indole dell' uomo si manifesta alla faccia. Le città baronali, ancorchè col progresso del tempo e per le avute libertà, fatte municipali, manifestano l'origine loro nella forma, la quale si limita a lunghi lunghi filari di case da un lato e dall'altro di una via principale, a piedi di un colle sul quale sta il castello del Barone; e citerem fra le prossime Gorizia e Lubiana per non andare più in là. Larga quell' unica via, nè calcolata punto sulle convenienze di salubrità, i radi vicoli sono angiporti anzi che strade.

All' invece le città municipali sono disposte a forma di corpo per lo più quadrato, calcolato sulla presuntiva condizione sviluppata del Municipio nei tempi futuri, cinte di mura sacrate dalla religione, sacre le porte della città, presidiate le mura da torri, come famiglia che vuol da sè custodire le cose proprie, anzi che lasciarle alla protezione del barone; ripartita la città dapprima a vie maggiori che veramente sono quelle del movimento generale; le aree risultanti da sifatto scompartimento suddivise da vie minori che dicevano vicinali, e di rinnovo aperte, su queste aree minori, vie che sono piuttosto di accesso alle case, le vie medesime poste a dispendio o del Municipio, o del vicinato, o dei consorti secondo indole loro. Nel sito più elevato della città collocata la chiesa unica, come quella che ne sta a presidio e tutela; la parte più nobile della città, i vici, provveduti di cappelle locali, che non vanno parificate alle chiese. Nella città, nel sito più nobile collocata la piazza, che non va confusa coi mercati, sulla piazza il palazzo e la torre segno visibile di giurisdizione; sulla torre le campane a convocazione dei Magistrati, dei Consigli, del popolo. Entro la città collocati

alcuni mercati che sono per li bisogni della cucina, gli altri mercati collocati fuor delle porte, come fuor delle porte i Čonventi di frati minori, i navali, li opifizi strepitosi, le arti sordide. Nella piazza collocate le magistrature, le sale di radunanze, le arti ed i traffici più nobili, e fatta convegno dei cittadini, sia per gli affari della vita pubblica e privata, sia per lo vicendevole conversare, sia per semplice divagamento. La piazza luogo di pace, così che lo snudar ferro, o fare minaccie è gravemente punito; i delitti commessi sulla piazza sottoposti a pena doppia di quella che se altrove perpetrati; cosicchè (se è lecito il paragone) come ogni chiesa aveva il sacrato religioso, la piazza era il sacrato civile.

E questi ordinamenti materiali di città erano sapientissimi, ed ancor che uniforme prodotto di generale sistema, assai prudenza e previdenza esigeva la loro applicazione; questi ordinamenti materiali erano effetto degli ordinamenti di Comune. Così che a tutta certezza poteva dirsi, città che non ha piazza cittadina, ma soli mercati, non essere ancora nella condizione di comune, essere assembramento di persone che sè sole e la loro vita privata curano; città che non ha palazzo, non avere reggimento a Comune; città che non ha torre e campane non avere giurisdizione propria di rango maggiore; città che non ha distribuzione ed assegnazione di parti, non vivere vita municipale, ma se ne ha il nome averne il nome soltanto.

Antichissime sono le città e le instituzioni municipali ed antica ancor ravvisabile la loro distribuzione materiale, e le parti singole; e se avvenne che sifatte città abbiano perduta la municipalità colla perdita di questa, perdettero le parti singole la loro destinazione, rimasti luoghi senza vita, e facilmente destinabili a tutt'altro uso, come ne diede l'esempio Trieste nella sua decadenza municipale, reiteratasi due volte.

La Colonia romana ebbe senz'altro le forme materiali e gli ordinamenti di Municipio che si dissero romani perchè trasportati da questi, ma che sono di origine italica antica; non è di queste che intendiamo annojare il lettore.

Carlo Magno, aveva promesso all'Istria ed a Trieste la conservazione della condizione municipale, l'autopolitia, quale durava sotto il precedente dominio bizantino, e questa sua volontà confermata da Lodovico non venne frastornata da fatti speciali repentini, ma è naturale che Trieste posta entro reame le di cui instituzioni erano baronali, terminasse coll' entrare in quel reggimento. La preservazione della Municipalità, ancorchè dovesse seguire col modo di non deviare mai dall'antico ed esistente, non era poi sì facile, nè sempre possibile; a farlo occorreva conoscenza delle leggi e delle instituzioni romane, che era trasportata in semplice pratica, questa pure alterata per lo svariato gius che reggeva le singole persone secondo loro origine e condizione; perchè se le persone di chiesa professavano il gius romano qualunque fosse la loro origine, i baroni professavano per le baronie loro un gius tradizionale feudalesco, lo Svevo, il Bavaro, il Franco, il Longobardo, professavano il gius della patria originaria; le forme di reggimento baronale erano diverse dal municipale. A mantenere poi vivo il reggimento municipale, occorreva assai sapere e prudenza che quei tempi non conoscevano o non curavano; la Municipalità cesse alla Baronia.

E Baroni di Trieste coi diritti di Baronia maggiore erano i Vescovi, per donazione di Re Lottario, e durarono in dominazione quattrocento anni. Durante il quale tempo, non cessò il Comune, ma era confinato per le giurisdizioni a giudicatura di piccole cause e di piccole contravvenzioni, per la finanza a piccoli dazi per sopperire li piccoli dispendî; niun ingerenza nè per li mestieri, nè per le arti, nè pel traffico, niun diritto di fare provvedimenti amministrativi; e vi aggiungiamo niun Consiglio, bensi Vicinia. Da un Atto dato completo dal Romanin Samuele, vedesi chiaramente che niun Consiglio v'era; ma che la volontà del Comune manifestavasi ad individualità di voti, di tutti; ciò che dicevano anche Università, e che progredendo, il secol presente disse voto universale.

Sennonchè le condizioni depresse derivate da quel sistema suscitarono desiderî, che la Scuola di Bologna ed i Giureconsulti promossero a tutto potere ed a tutta fede, facendone uscire quelle Municipalità del medio tempo, che i meno esperti dissero Repubbliche, immemori che la libertà municipale dei Giureconsulti non mai si staccò dalla riverenza al potere Imperiale, la quale fu tanta, mentre il potere imperiale andava in vapori, che ebber rimprovero di servili.

La pace di Costanza, creduta frutto di guerra nazionale, non era più che la fissazione della sfera d'attività dei Comuni, sfera che sembra sì piccola; e tanto le città alleate dello Imperatore, quanto le ostili a lui ed i baroni dell' una e dell' altra parte ebbero eguale parte nelle libertà municipali, ed eguale soggezione all' Autorità Imperiale e dei Vicari in Italia.

E fra li Comuni che senza reclamo o forza, sibbene per effetto di principî universalmente addottati, viddero allargate le condizioni loro, e scemato il poter baronale che sovra loro stava, furono le città dell'Istria, ancor che il Patriarca appunto allora ampliasse i poteri baronali, e fosse superiore di altri baroni minori.

Cominciano col 1200 a figurare alcuni Podestà ed anche di Trieste, nello stesso tempo in cui il Vescovo Signore cominciava a coniare moneta; ma le notizie sono vaghe, più vaghe ed incerte le condizioni, e dacchè il Comune di Trieste potè conservare il testo delli suoi Atti di affrancazione, e dei suoi ordinamenti e delle sue leggi; a questi documenti è meglio attenersi, perchè ci mostrano fino da origine lo sviluppo progressivo dell'autonomia dal 1253 fino al 1468 quando ebbe gravissima alterazione, fino al 1523 in cui cessata l'autonomia continuò l' autopolitia.

Al 1253 poniam l'epoca di incipiente emancipazione dalla Signoria dei Vescovi, compiùta nel 1295, sostenuta colla violenza nel 1313, legittimata per Giudicato arbitramentale nel 1353.

Gli ordinamenti di Comune erano allora: tre Giudici o Consoli, un Consiglio, non giudizio civile, non penale, non autonomia; nel 1295 si aggiunsero queste. Difficile opera è il riconoscere la disposizione materiale dell' antica città.

Guida fedele a siffatte indagini è dapertutto l'antica distribuzione della città, la quale dura e si manifesta nelle linee antiche di distribuzione mantenute dalle moderne costruzioni, ancorchè alterate in parti di minore entità, ma appunto le parti che stanno intorno la piazza, e che altravolta dicevano il Rione o Contrada del Mercato, subirono tali modificazioni da non poter colla sola inspezione della odierna materialità,

giungere a ricognizione dello stato che immediatamente precede, o di pin antico. Di che è causa lo stato sociale di Trieste, repentinamente passato da suddito baronale a municipale perfetto. l'ampliazione che si diede alle instituzioni municipali le quali diedero occasione ad ampliare gli edifizi, a cangiarne la destinazione. I tumulti del 1468 recarono grandissimi danni alla citta, così nella diminuzione del popolo, come nel guasto delle fortune, la città decadde, ed i plebei che presero gran parte alle pubbliche cose in rimpiazzo dei nobili uccisi, banditi, esuli, siccome i novelli che vennero dalle parti di Napoli e d'Italia centrale, intenti più al personale vantaggio, nè ben affetti alla antica città, e delle cose di questa ignari, non ebbero nè potevano portare alle instituzioni patrie ed ai monumenti quelle affezioni che fanno prediligere le cose antiche, vero essendo il detto — ad uomini nuovi, cose nuove. Descrizioni di singole parti della città. non possono sperarsi, e per quante ricerche venissero fatte, tutte tornarono inutili. Vedute o disegni fatti nei secoli decorsi o sono oltremodo imperfetti siccome le monete, i suggelli. Le scolture e le pitture raffiguranti la città in mano di Santi protettori sono o arbitrarie o vaghe di troppo, un disegno che fu tratto dall' Archivio generale di Venezia dà qualche luce, quelli da 150 anni in qua sono troppo moderni.

Mancano storie scritte; non già che gli antichi abitanti le spregiassero, anzi all' opposto ne menavano pompa, ma erano tradizioni, non bene certe, che i novelli ricusavano, e che terminarono in sciocche borie municipali. Non mancavano belli ingegni, ma datisi alla poesia latina, preferirono scrivere versi gentili; i lavori di alcuni andarono perduti, e sarebbersi perduti anche i due unici cronacisti, l' Ireneo e lo Scussa, se il Municipio non avesse fatto stampare la prima parte di quello, e se il manoscritto dello Scussa non fosse passato in mani conservatrici. Dovette trarsi notizie dalle intestature di contratti, e da roli di guardie, da atti civili che a migliaja fur svolti, miserevole e facchinesca fatica, della quale è dubbio, se trovi compenso nel lambiccato. A queste si aggiunsero altre cose che per lo studio delle storie patrie e per altre vie furono note.

La città materiale era compatta, cinta di mura e torri, ripartita in quattro quartieri, non avendo oggigiorno sufficienti notizie per portarli a sei, come è verosimile che fossero. Ed erano: Castello, il quale comprendeva il più della città dall' alto del colle al clivo di Santa Maria Maggiore; e senz'altro era questa la primitiva colonia romana; ed il nome di Castellum sembra registrato da Strabone la dove dice di Trieste Frurion.

Mercato, al mare, sottoposto al Castello, dal quartiere detto altravolta degli Ebrei fino a piazza Cavana.

Riborgo, quartiere a levante di Mercato, nella parte piana;
Carana altro quartiere a ponente pure in piano.

Quelli che si potrebbero aggiungere :

Chaboro l'antico Campidoglio che sull' alto del colle faceva corona

alla città.

S. Lorenzo, del quale è noto il nome primitivo, poi fu giardino dei Capitani, or possessione Ellul, e ritenevasi in Castello.

Questi due ultimi quartieri erano malconci e pressochè derelitti, argomento di sollecitudini per ripopolarli.

« ZurückWeiter »