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Ma no, rimane di lui questa scheggia amorosamente lavorata e sfaccettata dalle sue mani; mani come le nostre e che attraverso i secoli si ricongiungono colle

nostre.

Quanta storia in quella freccia, quanta densità di memorie in quella pattina non più alta di un decimo di millimetro, eppure più ricca di pagine della Bibbia.

E questa moneta di Giustiniano imperatore, lucente ancora nel suo oro bizantino, ma tosata con discrezione da qualche usuraio turco, ma accarezzata anch'essa dal fiato di tanti secoli?

Anch'essa ha la sua pattina e noi la palleggiamo e la palpiamo con amorosa tenerezza. Forse passò per le mani di Teodora e fu data da lei in premio ad uno dei tanti suoi amanti. E per quante altre migliaia di mani non è passata, portando sulla sua piccola ruota la fortuna e la vergogna degli uomini, le loro libidini e i loro desiderii; premiando or la virtù, ora il vizio, e pur serbando nel fango della prostituzione o fra gli incensi dell'idolatria il suo riso ironico del metallo

più vile e più superbo dell'umana mineralogia!

Come nelle foreste i vecchi tronchi de-. gli abeti e delle quercie ci narrano le glorie della loro lunga vita coi licheni policromi e le molli borracine che li rivestono, e nelle cento cicatrici ci narrano gli schianti dei fulmini, i colpi d'ascia del boscaiuolo, i capricci degli amanti; così ogni cosa antica escita dalle mani dell'uomo ci parla sommessamente, misteriosamente e in diverse lingue la lunga e paziente e dolorosa storia della civiltà. I marmi ce la raccontano colle corrosioni delle nere verrucarie, i bronzi col fiato verde della loro pattina, i graniti coll'appannatura del feldspato decomposto. Il legno ci ripete coi suoi gemiti il morso secolare e paziente dei tarli; e il vetro stanco di tanta luce passata attra verso le sue trasparenze, si riposa nell'iride dei raggi da lui decomposti. Perfino l'immortale porcellana di Satsuma ci ricorda nella sfumatura lasciatavi dai secoli un'arte obbliata coi nomi dei suoi grandi artefici,

Verderame o ruggine, pattina o corrosione, tarli o fenditure ci raccontano tutti · la storia dei secoli; l'andare eterno della materia che non posa mai e mai non muore; riscontro armonico delle borra- . cine e dei licheni dei giganti della foresta.

E il vecchio legge questo muto linguaggio dei secoli che furono, assai meglio del giovane; perchè anch'egli è un bronzo · antico, anch'egli porta sulla sua pelle la pattina del tempo che fu. Egli ha una stretta parentela con tutte quelle cose su cui ha fiatato il tempo, e con esse rivive il tempo che fu.

*

All' infuori dell'archeologia il vecchio ha un ricco museo di memorie sue; memorie di cose, memorie di uomini. Son tristi e son liete: più numerose forse le prime che le seconde, ma più pallide assai di queste.

Noi tutti ricordiamo con vivezza maggiore i piaceri che i dolori, s'intende sempre a parità di forza; dacchè colla nostra volontà rinfreschiamo, ricordandole,

le gioie del passato e spesso cacciamo via le tristi immagini dei dolori patiti.

Dolori e gioie son ripartiti fra gli uo mini con ingiusta misura, per colpa nostra e della fortuna; ma la memoria serba come tesori i dolci ricordi e cancella i dolori; e anche quando questi furono forti, dopo i lunghi anni, si dipingono nell'orizzonte lontano come mesti fantasmi, che ci commuovono, ma non ci fanno soffrire. Il dolore si è trasformato in malinconia e questa è spesso cara, nè la vorremmo cancellare dalle nostre emozioni. Se potessimo scordare affatto i nostri cari morti e gli amori sepolti e gli amici lontani per sempre, ci vergogneremmo di noi stessi come di una viltà.

Nei nostri giardini, se siamo appassionati cultori di fiori, abbiamo sempre an che il geranio notturnino, modesto nelle foglie, triste nei fiori; ma questi, piccoli e oscuri, quando tramonta il sole, emanano un profumo acuto come di aromi orientali portati da un vento lontano. E quel profumo dura tutta la notte e scompare col crepuscolo dell'alba.

Così nel giardino del nostro cuore i muti ricordi del passato devono rappre sentare quel geranio della notte, e anch'essi devono innalzare nel nostro cielo i lontani profumi del tempo che fu.

Dall'infanzia alla canizie che lungo cammino! La vita è breve, quando la misuriamo col metro del desiderio; ma quanto è lunga, se l'accompagniamo passo a passo, palpito a palpito, dal primo bacio della mamma alla prima neve caduta sul capo!

Quanti uomini diversi si son succeduti l'un dietro l'altro sotto la buccia sottile del nostro Io; il bambino, il fanciullo, l'adolescente, l'uomo adulto; ed ora il vecchio li riassume tutti quanti quegli uomini, che, pur rimanendo una stessa creatura, ebbero gioie e dolori così diversi; altrettanti volumi di un'opera sola, di uno stesso autore e a cui non manca più che di scrivervi la fatale parola: fine!

Da tutti quei volumi sfogliati dalle nostre mani commosse emana un odore di cose lontane e soavi; un profumo molle di terra bagnata da una pioggia dopo una lunga sete; un aroma di vecchio cuoio

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