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avverso il cuore, e spenta quella spontaneità che è il vero carattere di ogni azione religiosa. E se lo Stato con la spada, o sia coi suoi mezzi di forza politica, deve combattere sotto gli ordini della Chiesa e col suo beneplacito l'errore e la colpa; voi richiamate dal medio-evo quella chimera poetica dei due poteri che fu causa di tante guerre, di disordini, di carnificine; voi confondete il tribunale col tempio, il magistrato col vescovo, lo sgherro col sacerdote..

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Coloro che predicano l'unione della Chiesa con lo Stato si appoggiano ad una ragione di bella apparenza. Dicono: la religione è il supremo interesse della umanità: intorno a questo supremo interesse conviene ordinare tutti gli altri che gli sono inferiori. Lo Stato rappresenta l'umanità, e mette parzialmente in atto la comunione di questi interessi qui in terra; dunque per necessità deve collegarsi con la Chiesa, la quale ne rappresenta il più importante, che è il conseguimento dell'ultimo fine cui aspira l'umanità. Queste ragioni non mancano di grandezza, lo spirito n'è soddisfatto, il cuore ne rimane commosso, e l'uomo si acconcia con certa gioia a fare sacrifizio e getto della libertà. Però una tale speciosità di argomento sparisce, e perde ogni virtù, se si mette alla bilancia di una fredda ragione. E prima giova ricordare che il potere civile, come l'ecclesiastico, giusta il Zallinger, è sommo: e questo importa che nel suo ordine, nella sua cerchia non può avere un altro potere eguale, nè un superiore. Imperciocchè, dove ciò avvenisse, egli cesserebbe di essere sommo, e difetterebbe di quella prima dote, di cui l'insignì Dio stesso autore della natura. Ma da ciò non conseguita che non vi sia la potestà ecclesiastica, la quale lo vince per nobiltà di natura, per eccellenza di fine: ne seguita solo che la sua civile sovranità non può essere divisa perchè unica, perchè suprema; ne seguita che la sua azione nella società non può essere attraversata, nè limitata, nè ristretta dal potere ecclesiastico. In breve l'essere sommo importa che venga rimossa la dualità della civile signoria, dalla quale provengono fra le due potestà gare e urti, che causanó o la persecuzione della Chiesa, o il degradamento del potere civile esautorato, dipendente, e privo di quella autorità somma che ebbe dall'autore della natura.

Ora se si accetta la dottrina, che pare racchiudersi nell'oscura formola delle proposizioni che esaminiamo, ne segue che lo Stato non ha da separare la sua autorità da quella della Chiesa, che i due poteri debbano procedere con azione concorde in alleanza di dritti ed interessi. Ma fra due istituzioni di ordine diverso, ed una superiore all'altra per nobiltà di natura, di mezzi e di fine; come potrà mai esistere alleanza lunga, senza che la prima afferri il dominio, e l'altra cada in soggezione? La dualità di signoria è sempre funesta, frutta discordia e lotte; l'alleanza fra i due poteri si volge in inimicizia, in ostilità: se il poter civile soverchia, la Chiesa perseguitata è ridotta a servità: se al contrario sormonta la potestà ecclesiastica, viene spodestato ed esautorato il potere civile, e la società torna all'antica teocrazia (1).

Se la Chiesa senza abdicare la maestà della sua natura, senza perdere i suoi caratteri divini ed essenziali, senza scapitare con questo in tutti i suoi celesti dritti, potesse abbassarsi a diventare imperativa e coercitiva, noi saremmo senza altro teocratici, e noi diremmo: lo Stato deve obbedire. Ma questa soggezione dello Stato sarebbe nello stesso tempo la decadenza della Chiesa: l'uno e l'altra sparirebbero, e il lavoro sociale dovrebbe rifarsi da capo nel caos e nelle tenebre. I progressi fatti sin qui, sarebbero annullati, cesserebbe lo sviluppo della scienza, l'esercizio di ogni libertà: in luogo di una restaurazione, la quale consiste nell'innestare sempre il nuovo con l'antico, non avremmo che un terribile e sanguinoso regresso che ci ricondurrebbe alle epoche della rozzezza e della barbarie.

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Vaglia il vero, la Chiesa, lo ripetiamo, ha la sua essenza nella intelligibilità: il temporale, il sensato sono il suo danno e la sua rovina. Essa è spirito e verità: sopra la verità fonda la propagazione delle sue credenze, sullo spirito l'eccellenza della sua morale, la stabilità della sua durată.

(1) Di questa verità fa testimonianza la storia della lotta sorta fra il pontificato e l'imperio, la quale lungamente durò con carnificina di popoli e scapito della religione, e fini con le leggi Giuseppine in Austria, con le Leopoldine di Toscana, e con quelle del Tanucci nell'ex-reame di Napoli, le quali la Chiesa ridussero in servitù,

Collegatela con lo Stato, è l'avrete congiunta con la materia e col senso: userà della forza, delle armi, del patrocinio principesco, elementi temporanei e materiali che ripugnano alla sua natura: perchè? perchè questi mezzi operano sul senso, ed essa è mentalità destinata ad operare sulla intelligenza e sulla libera volontà, la quale tanto più s'inalbera e resiste, quanto più a vincerla usate di forza materiale e di corporale costringimento. Interroghiamo le origini della Chiesa: forse che ebbe mestieri di tali mezzi per propagarsi? forse che cattivò gl'intelletti nell'ossequio della fede con le armi e col principato? Furono i carismi e i doni dello Spirito Santo, che la predicazione del Vangelo fecondarono, che la Chiesa edificarono così, come ora la tengono viva nel vincolo della carità e nella spirituale unità della fede. Ora implicatela nei secolari negozi, e smarrirà il sacro ministerio che milita pel Signore (1): aggravatela con la soma dei beni materiali e delle temporali influenze, e scaderà dai suoi diritti divini della grazia efficace : onoratela di umani privilegi, e ne saranno corrotte le sue divine prerogative. E qui giovi tornare alla memoria dei vescovi, in ispecie francesi, le gravi sentenze del santo vescovo di Poitiers, Ilario, sapientissimo loro antecessore, le quali saranno commento terribile alle proposizioni che esaminiamo: « E prima ci sia lecito “compassionare le brighe dell'età nostra, e lamentare le stolte * opinioni dei nostri tempi, onde si pensa con mezzi umani patro«cinare Dio, e con intrighi secolareschi proteggere la Chiesa di Cristo. Di grazia, o vescovi che ciò credete, ditemi di quali fa« vori gli apostoli fecero uso per predicare l'Evangelo? di quale braccio laicale si giovarono per predicare Cristo, per convertire dal culto degli idoli a Dio tutte le genti? forse di qualche grado della reggia si insignivano? forse Paolo, quando era « tratto a dare di sè spettacolo negli anfiteatri, raccoglieva con editti reali a Cristo la Chiesa? Essi, alimentandosi con l'opera delle loro mani, nei cenacoli secreti radunandosi, contro i de*creti del senato e gli editti dei re, visitando paesi e castelli " e quasi tutte le genti; forse non avevano le chiavi del regno de' cieli?... Ed ora, deh qual dolore! la fede si appoggia a ter

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(1) Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus. Tim. 2, 4.

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areni favori, e facciam credere che Cristo sia destituito di virtù, "studiando circondare di fasto il suo nome. La Chiesa che ot» tenne fede con gli esilii, col carcere, ora si rende temuta « usando di esilii e di carcere, e con la forza pretende ottener » fede. Sospira ai favori de' suoi aggregati ella che fu consa«crata dal terrore de' persecutori. Si gloria di essere amata a dal mondo, essa che non avrebbe potuto essere di Cristo, se prima il mondo non l'avesse odiata (1) ». Tanto altamente sentiva della dignità e forza della Chiesa quel vescovo santissimo, il quale, testimonio della conquista del mondo fatta alla croce per via della grazia divina, ripudiava pel sacro ministero non solo il dominio, non solo l'aiuto temporale, ma perfino il favore, perfino la protezione del laico principato. Egli biasima i vescovi dei suoi tempi che le reggie frequentavano, e dai potenti imploravano patrocinio ed aiuto a pro' della Chiesa: ed ora che resterebbe a dire, quando vediamo imposta quasi come dommatica la dottrina, che al sacro ministerio della Chiesa è necessario il dominio, occorre l'ingerenza nei beni temporali, fa mestieri l'imperio e la potenza civile?

Ma poniamo caso, del resto impossibile a darsi nelle presenti

(1) Ac primum miserari licet nostrae aetatis laborem, et praesentium temporum stultas opiniones congemiscere, quibus patrocinari Deó humana creduntur, et ad tuendam Christi Ecclesiam ambitione saeculari laboratur, Oro vos, Episcopi, qui hoc esse vos creditis, quibusnam suffragiis ad praedicandum Evangelium Apostoli usi sunt? Quibus adjuti potestatibus Christum praedicaverunt, gentesque fere omnes ex idolis ad Deum transtulerunt? Anne aliquam sibi assumebant e palatio dignitatem, edictisque regiis Paulus, cum in theatro spectaculum ipse esset, Christo ecclesia congregabat?.... Illi manu atque opere se alentes, intra coenacula secretaque countes, vicos et castella, terra ac mari gentesque fere omnes contra senatusconsulto et regium edictum peragantes, claves credo regni coelorum non habebant?.... At nunc, proh dolor! divinam fidem suffragia terrena commendant, inopsque virtutis suae Christus, dum ambitio nomini suo conciliatur, arguitur. Terret exiliis et carceribus Ecclesia, credique sibi cogit, quae exiliis et carceribus est credita. Pendet a dignatione communicantium, quae persequentium est consacrata terrore. Diligi se gloriatur a mundo, quae Christi esse non potuit, nisi eam mundus odisset. S. HIL. Pict. Epist., lib. unus, contra Arianos, vel Auxentium Mediola

nensem.

circostanze della società, poniamo che la Chiesa prenda sopra lo Stato la supremazia di autorità e l'alta ingerenza della cosa pubblica. Avverrà prima, ch'ella si adoprerà per conformarlo e assimilarlo a se stessa: poi lentamente minerà quelle libere forme di reggimento che per necessità osteggeranno la sua influenza, e vi sostituirà l'assoluto dominio del principato. Quindi, obbligata alla conservazione intera del domma immutabile, non potrà praticamente separare il precetto disciplinare dal divino; onde per naturale tendenza cercherà mettere in atto nella società le antiche regole della ecclesiastica disciplina. Le quali regole ispirate dal fervore religioso di una età sociale rozza ed ignorante, in cui la religione era tutto, la società nulla, si andarono mano mano cancellando dalla civiltà, sebbene la Chiesa non le abbia abolite giammai, nè lasci tratto tratto di richiamarle alla memoria dei fedeli come degne di essere rivocate in vigore. E quali saranno queste regole? Ne abbiamo un saggio in qualche proposizione del Sillabo: abolita nel nuovo codice la legge della libertà di coscienza e della stampa: rimesso un tribunale privilegiato nelle cause civili e criminali dei chierici (prop. del Sillabo 78, 79, 31): data l'im-munità degli aggravi pubblici alle persone ed ai beni ecclesiastici: libero alla Chiesa ed ai corpi morali l'acquistare ed il possedere (prop. del Sill. 30, 26): le scuole sotto la sorveglianza sua: prescritti secondo l'opinione di un vescovo o di un parroco i-metodi d'insegnare la scienza, d'instruire e di educare la gioventù: infine bandito tutto ciò che modernamente si dice civiltà, progresso, liberalismo (prop. del Sill. 45, 47, 48, 80). Ora è da credere che negli Stati cattolici si possa introdurre così strana mutazione e così perverso rivolgimento di governo, senza svegliarvi prima la mala contentezza, poi lo sdegno, per ultimo la fiamma terribile della ribellione? e dove questo impeto sormontasse, chi ci saprebbe dire le sciagure, i danni che dovrebbe incontrare lo Stato per riprendere la via da cui era stato distolto? chi ci saprebbe dire lo scredito e la rovina in cui sarebbe travolta la religione e la Chiesa?

Ma concediamo, fatto appena possibile ad immaginarsi, che la Chiesa e lo Stato con forze unite riportino una vittoria non temporanea, non passeggera sulla moderna civiltà: figuriamoci in un regno arrestato ogni progresso, stremata la libertà, imbri

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