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S. Alfonso di Liguori, conservando fino a' nostri tempi l'antica tradizione della scuola cattolica, c'insegna, che « Fuor di dubbio ❝ è data agli uomini la facoltà di fare le leggi: ma questa facoltà in quanto a leggi civili nissuno l'ebbe dalla natura, e compete alla comunità degli uomini, che la trasmette ad una o più persone, dalle quali è governata (1) ».

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Con queste opinioni della scuola dei teologi morali si accordano generalmente quelle dei dottori legali; e per non dilungarci oltre il dovere ci piace addurre l'autorità d'Almaino e di Giovanni Maggiore, due dei più accreditati dottori della scuola parigina : il primo dei quali, nella sua opera della Potestà Ecclesiastica e Laicale, scrive: «La potestà laica o secolare viene dal popolo; e però la civile comunanza non può rinunciare al potere, che ha "sopra un principe creato da lei: in virtù di questo potere, che « viene da natura, ella può spodestare un principe, che governi « non in edificazione, ma in destruzione della società (2) ». E Giovanni Maggiore quasi negli stessi termini: « Il re non ha forza nè autorità, se non la riceve dal regno che egli governa: e però quando operi a danno della repubblica, o la scompigli senza « dare speranza di correzione, deve essere spodestato dalla comunità, alla quale presiede (3) E Coccejo nei suoi commenti

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culares homines immediate, sed mediate societatis civilis consensu. Ratio evidens est, quia omnes homines nascuntur liberi respectu civilis imperii: ergo nemo in alium civili potestate potitur. Hinc infertur potestatem residentem in principe, rege, vel in pluribus aut optimatibus aut plebeis, ab ipsa comunitate aut proxime aut remote proficisci. CoNc. Theol. chris. dogmat. moral., lib. 1, de jur. nat. et Gent. diss. 4, cap. 2.

(1) Certum est dari in hominibus potestatem ferendi leges. Sed haec potestas quoad leges civiles a natura nemini competit, nisi comunitati hominum, et ab hac transfertur in unum vel plures, a quibus comunitas regitur. Tract. de leg., cap. 1, dub. 2.

(2) Potestas laica sive saecularis est potestas a populo: non potest renunciare communitas potestati, quam habet super suum principem ab ea constitutum; qua scilicet potestate, si non in aedificationem, sed in destructionem regat, eum potest deponere, cum talis potestas sit naturalis. ALMAIN Quaest. resumpt. de domin. natur. civil. et eccles.

(3) Rex non habet robur et auctoritatem nisi a regno cui praeest: Rex utilitatem reipublicae dissipans et evertens incorrigibiliter, est deponendus a communitate cui praeest. IoAN. MAJOR in Comment. super Math,, cap. 18.

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a Grozio: La causa dell'impero ossia del supremo potere è Dio. «Perchè mentre egli concesse alcuni dritti al genere umano, gli «fornì anche i mezzi per difenderli. Quindi in forza di questa " concessione divina, il padre di famiglia può tutelare i dritti della famiglia, o per sè stesso, o per via di altri, ad esempio, « per mezzo della società o dell'autorità del principe. Dunque il « dritto dell'impero vien da Dio: la causa immediata è il patto ❝ o il consentimento dei padri di famiglia, i quali si raccolgono « in consorzio, e conferiscono per mezzo di pubblico suffragio la « facoltà di difendere i loro dritti o alla comunanza civile, o al "potere di un principe (1) ». E Bianchi il canonista, difensore dei dritti della Chiesa e della primazia del pontificato, espone la medesima teoria: Fu ed è stata sempre comune sentenza dei teologi e dei canonisti, che il fonte della pubblica e civile po"testà sia collocato nella moltitudine, e che per essa si trasfe"risca nei re e principi della terra (2) ».

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Anche le cattedre romane, le quali insegnano sotto la severa vigilanza delle ecclesiastiche potestà, professarono questa antica sapienza. E ne abbiamo prova nel trattato del dritto pubblico del Zallinger, opera di corso scolastico stampata in Roma coll'approvazione superiore alla tipografia di Propaganda. Ivi l'autore, enumerando le varie differenze che dentro di sè hanno le società civili ed ecclesiastiche, dice: « 1o La civile società è costituita per " un patto libero de' socii: e la Chiesa è stabilita per istituzione « di Dio ; 2° Il fine proposto alla civile società è la sicurezza interna « ed esterna per ottenere la quiete e la tranquillità della vita: il « fine della Chiesa è la santificazione delle anime; 3° Dove è diver

(1) Causa imperii seu summae potestatis mediate est Deus. Is enim dum jura quaedam humano generi concessit, etiam media concessit jura illa defendendi. Adeoque vi hujus concessionis divinae paterfamilias jura suae familiae vel ipse defendere, vel ea per alios v. g. per civitatem, per principem tueri potest. Jus igitur imperii a Deo est. Causa immediata est pactum ac consensus patrumfamilias, qui in unam civitatem coeunt, et facultatem jura sua defendendi in commune, in civitatis, vel unius principis arbitrium contulerunt. Cocc. Comm. in Grot. disert, 2, lib. 6, cap. 2.

(2) Trattato della potestà e della politia della Chiesa, lib. 1, cap. 1, edizione romana, con licenza dei superiori.

sità di fine, è anche gran divario di mezzi, coi quali raggiungere il fine. I mezzi della società civile sono determinati dalle leggi degli uomini: i mezzi della Chiesa, che sono i sacramenti, da Dio (1)". Non è mestieri di lunga chiosa per dimostrare che secondo l'autore gli uomini liberi, essendo da natura portati a collegarsi in società, debbono avere da natura anche la facoltà di gettarne le basi, sulle quali essa posi, si mantenga e progredisca in perfezione. Ora essendo il supremo potere base principalissima all'edifizio sociale, ne conseguita che nella moltitudine degli associati deve per necessità risedere tal suprema facoltà di reggersi e governarsi. Chi scrive, ha sentito in Roma per più anni egregi professori leggere dalle cattedre materie di scienza morale e giuridica: il canonico Graziosi teologo dottissimo, già maestro e confessore del vivente pontefice Pio IX, monsignor Palma, e monsignor vescovo Cardoni: essi in concordia furono sempre seguaci della dottrina che sta pel suffragio universale: l'ultimo in ispecie, monsignor Cardoni, esponendo il trattato delle leggi, caldamente propugnava questa sentenza, come affatto consona alle dottrine cattoliche, e in mezzo a' suoi discepoli gongolava di gioia vedendola nel 1848 applicata negli avvenimenti politici di quell'epoca in Roma. Nè era altra la dottrina che ascoltavamo dalla bocca dei professori dell'università romana, Soldini, Villani, monsignore Capalti che trattavano del dritto di natura e delle genti, e commentavano il Digesto ed il testo del Dritto canonico.

A conchiudere in tanta evidenza di prove, addurremo per ultimo, in favore del principio della sovranità popolare, la singolare autorità di Alessandro imperatore di tutte le Russie, di Francesco I imperator d'Austria, del re Giorgio d'Inghilterra e di Federico di Prussia, precessore del presente sovrano; il quale dal partito

(1) Discrepantia inter societatem civilem et ecclesiasticam Jesu Christi est quod: 1o Civitas ex pacto libero sociorum est. Ecclesia ex istitutione Dei. 2o Finis civitatis et imperii civilis est securitas interna et externa ad vitae quietem et tranquillitatem: finis Ecclesiae santificatio animarum. 3o Ubi est diversitas finis, magna etiam discrepantia interest mediorum, quibus obtinetur finis. Media civilis societatis sunt determinata per leges hominum: media Ecclesiae, quae sunt sacramenta, per Deum. Jus publicum, lib. iv, cap. v.

Sillabo

feudale è armato cavalier mantenitore del dritto divino. Forse vedremo innanzi a tali autorità scappellarsi anche i retrivi partigiani della legittimità, e i baldi gesuiti della Civiltà Cattolica, I quattro monarchi alleati nel 1814, dopo ributtato l'esercito napoleonico, invaso il territorio francese, presa Parigi, e ridotto Napoleone I a rinunziare l'imperio, avevano in mano per dritto di vittoria i destini della nazione francese. Nel culmine della loro potenza, nell'abbattimento e prostrazione di un popolo, essi riconoscono il principio della sovranità popolare, e curvano la loro potenza e la forza delle loro armi innanzi al dritto naturale della società. Infatti, nel proclama pubblicato da essi in Parigi nel 13 marzo 1814, fanno alla nazione facoltà di stabilire quelle leggi fondamentali dello Stato, che crederà meglio convenirle, impegnando la loro fede di riconoscerle e farle osservare. Ecco le precise parole. I sovrani alleati professano sempre il principio che per la felicità d'Europa è mestieri che la Francia sia grande e forte; e che riconosceranno e garantiranno quella costituzione che il popolo francese vorrà darsi (1). — Dunque secondo i sovrani alleati, se la Francia ha da costituirsi forte e grande nazione, se si vuole che appagata di sè abbia quiete entro i proprii confini, se si desidera che non rompa fuori a turbare la pace di Europa; è d'uopo, secondo l'avviso dei quattro monarchi, che essa si scelga quella costituzione e quel governo, che meglio creda convenirle per mezzo di quell'universale suffragio, il quale è la vera base d'ogni solida società. Quando la forza degli eventi umani fa violenza a quegli stessi che occupano troni ed hanno imperio, come dicono, per la grazia di Dio, e li obbliga a proclamare e attuare il principio: che l'autorità suprema sta nel numero e nella moltitudine di un popolo; non sappiamo dove potranno rifugiarsi per trovare ragione i pochi e passionati difensori del dritto divino.

(1) Les souvrains alliés déclarent qu'ils professent toujours le principe que, pour le bonheur de l'Europe, il faut que la France soit grande et forte; qu'ils reconnaitront et garantiront la constitution que la nation française se donnera. PAILLET, droit public français, seconde partie, chapître xvi.

Pensando la nobile e numerosa schiera de'personaggi insigni per pietà, per zelo di religione, per ogni maniera di scienze sacre e profane, i quali opinarono essere di diritto naturale la sovranità del popolo; e poi leggendo d'altra parte l'acerba condanna, con cui la si volle colpire nel Sillabo; eravamo condotti a dubitare, quasi contro coscienza e ad onta dei fatti, se mai sotto il velame delle strane parole si celasse nella 60a proposizione qualche altro più arcano ed astruso concetto. E di fermo per quanto si voglia essere larghi d'indulgenza per la garrula ed ampollosa facóndia, con cui monsignor Pacifici amplifica le Allocuzioni ed Encicliche pontificie, non ci poteva entrare in testa, che si arrivasse a qualificare di opinione erronea e sommamente perniciosa, di mostruosa enormezza da sconquassare le fondamenta della cattolica religione e della civile società, da levare di mezzo ogni virtù e giustizia ecc., una sentenza da massimi dottori della Chiesa, da più celebri maestri in divinità, e da sapientissimi giuristi in ogni epoca professata. E dubitammo forse volersi con la condanna di quella propozizione insegnare, secondo la pietosa interpretazione dell'arcivescovo di Parigi, che il fatto compito dalla violenza, non legittima l'autorità di un potere sociale, e che la maggioranza dei voti nel suffragio universale di un popolo e nei corpi deliberanti e giusdicenti, non vale per sè a provare la giustizia della deliberazione e della sentenza. Qui lasciamo stare la giusta avvertenza, con cui l'arcivescovo di Parigi li mita e corregge la condanna pontificia, osservando che i fatti compiuti da un'intiera nazione traggono seco degli interessi : e che gli interéssi gravi coll'andare del tempo vestono natura giuridica, e si chiamano dritti (1): donde, anche con interpretazione così lontana e stiracchiata, non sta nel vero la proposizione assoluta, che la forza non legittimi mai l'autorità. Lasciamo stare ciò, e chiediamo: chi mai fu di cervello così balzano e di così storto giudizio, che abbia sostenuto le maggioranzé essere dotate d'in

(1) Les faits accomplis par tout un peuple trainent derrière eux des intérêts; et ces intérêts considérables, quand ils ont duré quelque temps, se nomment des droit. Pastorale dell'arcivescovo di Parigi relativa all'Enciclica dell'8 dicembre.

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