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e le loro famiglie, se non andassero alla battaglia in qualunque luogo piacesse ai capi, se abbandonassero le insegne, o non uccidessero chi desse segno di fuga. Quelli che non vollero prestare cotal giuramento furono dai centurioni uccisi a piè degli altari, e i loro cadaveri giacenti fra le vittime erano di esempio ai sopravvegnenti. Tra quelli che avevano giurato, l' imperatore ne scelse dieci dei principali, ciascuno dei quali ebbe ordine di eleggersi un compagno, e così tutti i nuovi eletti successivamente fino al numero di sedicimila. Costoro formarono una legione che si chiamò linteata dalla copertura del luogo ove si erano consacrati alla morte e agli Dei. Erano i più nobili e i più prodi guerrieri del Sannio, e si distinguevano per belle armature e per elmi adorni di splendidi pennacchi. A questi si aggiunse un altro esercito di più di ventimila uomini disposti tutti a morire per la libertà (1).

Contro essi Roma mosse i consoli Spurio Carvilio e Lucio Papirio, il primo dei quali andò ad assediare la città di Cominio e l'altro si accampò ad Aquilonia a fronte del principale sforzo sannite. Fu convenuto fra i consoli che si combatterebbe a Cominio e ad Aquilonia nel medesimo tempo per dividere le forze nemiche. Papirio vigorosamente assalì e fece sforzi maravigliosi, ma la legione linteata disposta a vincere o a morire rimase lungamente immobile agli urti de`suoi, e avrebbe avuta la vittoria, se la sua costanza non era scossa dalla voce sparsa ad arte che Carvilio vincitore di Cominio veniva in soccorso a Papirio (2). Allora i Sanniti stanchi dalla lunga pugna e sconfortati dalle

(1) Livio X, 38.

(2) Frontino Stratag. II, 4, 1; Livio X, 41.

tristi novelle, si crederono presi alle spalle, e piegando furono dispersi. Una parte si ritirarono nel campo, altri a Boviano. Vi fu fiera battaglia agli alloggiamenti e in Aquilonia: ma i Romani superarono tutto e menarono strage grandissima. Quantunque il numero di trentamila Sanniti uccisi (1) sembri incredibile, questa vittoria fu di molta importanza pe' suoi effetti. Aquilonia fu saccheggiata e bruciata: la stessa sorte toccò a Cominio e ad altre città. Tutta la regione fu desolata e predata, e le ricchezze del Sannio servirono a rendere più grande la pompa del trionfo nel quale Papirio portò 1330 libbre d'argento e due milioni e cinquecento mila assi ricavati dalla vendita dei prigionieri. Tanta rapina fu dedicata agli Dei e all'ornamento del fôro. Una parte delle armi prese ai nemici furono date agli alleati e alle colonie come trofei; col resto fu fatta sul Campidoglio una statua di Giove di forma sì gigantesca che poteva vedersi dal monte Albano (2).

Benchè ridotti agli estremi da tanti mali, i Sanniti poterono un'altra volta menar vendetta dei loro crudeli nemici. Essi chiamarono a condurli all'ultimo tentativo il loro grande generale onzio Telesino, già vincitore alle Forche Caudine, il quale quantunque vecchio conservava l'energia della sua gioventù. Egli condusse i suoi a devastar la Campania, e venne alle mani con Fabio Gurge figlio del vincitore di Sentino, il quale avanzatosi incautamente fu rotto dall'antico senno di Ponzio, perdè i bagagli, ed era

(1) Livio X, 42. Egli dice anche che 3870 fu il numero dei prigioni, e 97 le bandiere tolte ai Sanniti.

(2) Plinio XXXIV, 7

An. di

Roma 462.

292.

distrutto se non lo salvava la notte. Giunta a Roma questa trista novella, il vecchio padre del console si offrì di andare all' esercito in qualità di luogotenente del figlio, e colla sua virtù riparò alla sinistra fortuna. I due più grandi capitani dei due popoli belligeranti si trovarono a fronte e il vecchio Fabio anche questa volta condusse i suoi alla vittoria, quantunque Ponzio e i Sanniti sosténessero una battaglia di eroi. Già la prina linea dei Romani era rotta, e il conAv. G. C. sole posto in mezzo, quando accorse il gran Fabio e decise della giornata. Non si sa in qual luogo accadesse questa battaglia che è l'ultimo grande fatto di questa guerra in cui da circa un mezzo secolo la disciplina romana stava a fronte del duro valore delle genti sabelliche. Perirono ventimila Sanniti: quattromila rimasero prigioni, e tra questi era il nobile Ponzio il quale condotto a Roma in catene ad abbellire il trionfo del vincitore fu barbaramente decapitato (1) in ri compensa della magnanimità con cui dopo aver risparmiato le legioni poste in sua mano aveva trattato i feriti dopo la pace di Caudio. È questa una delle più brutte infamie di Roma, e in faccia ad essa risplende anche di più l'umanità e la grandezza del Telesino, il quale nella sua lealtà non aveva da riprendersi di altro che di aver creduto alla fede romana.

Con la presa di Ponzió la gran guerra era finita (2), quantunque i Sanniti non si arrendessero ancora. Resisterono finchè ebbero fiato, e le legioni ebbero da fare per qualche tempo contro gli ultimi avanzi di tante sconfitte. Fu presa la risorgente Cominio fu presa Ve

(1) Livio Epitome XI.

(2) Orosio III, 20.

nosa e mandatavi una colonia di ventimila uomini (1): furono vinti altri luoghi minori e menato guasto grande per tutto il paese. Curio Dentato spinse sì avanti il furore che i vinti furono forzati a preghiere di pace. I Sanniti andati a trattare con lui lo trovarono a cena frugale. Per farlo benevolo gli offrirono pecunia, ma ei rifiutò i donativi dicendo che non gli pareva bello avere dell' oro, ma di comandare a chi lo possedeva (2). Confessandosi vinti fu concessa loro la pace che do- Roma 464. mandavano, e quantunque sia detto che fu rinnovata per la quarta volta con essi l'antica alleanza (3), pare certo che il Sannio rimanesse nella dipendenza dei vincitori, dalla quale invano poscia tentò di sottrarsi unendosi a Pirro e ad Annibale.

Vinti i Sanniti, Roma si volse contro quelli che avevano mostrato amicizia per essi, e prima di tutti contro i Sabini che probabilmente gli aveano soccorsi alla guerra. È detto che si ribellarono nell'anno in cui fu conclusa la pace col Sannio, e che Roma accorse a comprimere la ribellione: ma è verisimile che la guerra contro essi fosse mossa dalle stesse ragioni che quella che produsse la sottomissione degli Equi. Contro di essi andò Curio che messe a ferro e a fuoco tutte le terre comprese tra la Nera, l'Anio e il Velino fino al mare Adriatico, e fece numero grande di prigionieri (4). I Sabini in una lunga pace di un secolo e mezzo erano giunti a grande prosperità coltivando i loro fertili campi e Roma cominciò a conoscere l'opulenza dopo questa conquista (5). Le possessioni di quegli ubertosi

(1) Velleio I, 15.

(2) Cicerone De Senectute 16.

(3) Livio Epitome XI.

(4) Aurelio Vittore, De Viris illustr. 33. Livio Epitome XI.
(5) Strabone V.

An. di

Av. G. C.

290.

terreni furono distribuite fra il popolo conquistatore. Agli antichi abitanti fu dato dapprima il semplice diritto di cittadinanza: poi fu aggiunto il suffragio che li rese interamente cittadini romani. Le città di Reate e di Nursia e probabilmente Amiterno divennero prefetture (1). Furono poste colonie a Castro e ad Adria (2) sull' Adriatico contro i Picentini e Vestini.

In Etruria negli ultimi anni della guerra sannite si era fatto prova di resistere alle legioni romane che, devastando i campi, uccidendo molta gente e imponendo multe gravissime, avevano costretto alcuni popoli a chieder la pace (3). Vi furono città che si accomodarono alla servitù, ma altre non l'accettavano ancora, e volevano far nuovo esperimento delle armi. A ciò gli eccitavano i popoli dell' Italia meridionale e massime i Tarentini che dopo la caduta del Sannio vedevano avvicinare la loro rovina se non ponevasi ostacolo a Roma smodatamente cupida di ampliare signoria e imperio. In questo intento mandarono ambasciate agli Etruschi, agli Umbri, ai Galli, ai Lucani, ai Bruzi e ai Sanniti per confortarli a unirsi, e a insorgere di nuovo alla guerra (4). Gli Umbri, alcune città di Etruria, e i Senoni per vendicare la disfatta di Sentino risposero a questo appello. Un'oste di Etruschi e di Senoni pose assedio ad Arezzo che contenta alla servitù rimaneva fedele ai Romani. Al soccorso di essa venne da Roma il pretore Lucio Metello che ebbe successo tristissimo, perchè morì sotto Arezzo con sette

(1) Festo v. Praefectura; Livio XXVIII, 45.

(2) Livio Epitome XI. Velleio pone più tardi la colonia di Castro. (3) Livio X, 37-46.

(4) Dione Cassio Fragm. 44. Collect. Vatic; Zonara VIII, 2; Orogio III, 22.

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