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e distinte a varii colori, e di scudi adorni d'oro e d'argento, e di elmi lucenti con sovrapposti pennacchi che facevano comparire i soldati di più grande statura. Papirio menomò l'effetto di quello spettacolo col dire ai suoi che i soldati vogliono esser forti di ardire e di ferro, non splendidi di oro e d'argento, e li guidò alla battaglia. Tutti erano ardenti: ciascuno voleva essere il primo ad aver la vittoria. I Sanniti furono volti negli amari passi di fuga, nè trovarono salvezza neppure nelle loro trincee che furono prese ed arse. La campagna all' intorno si riempi di belle armi e di corpi di uomini uccisi. I legati Decio e Valerio ebbero pei loro sforzi il pregio maggiore della vittoria. Le splendide armature degli spenti Sanniti servirono a ornare il trionfo di Papirio e il fôro romano (1).

I Sanniti comecchè indeboliti da tante disfatte non cedevano, perchè li rinforzavano dei loro aiuti i Marsi, i Peligni, gli Ernici e gli Equi, e si dichiaravano in loro favore gli Umbri, e all'estremità dell'Italia i Salentini i quali da ultimo si accorgevano che la causa del Sannio era quella di tutte le genti italiane. Poco giovò ad essi la guerra mossa a Roma dagli Umbri perchè al primo scontro furono rotti. Fabio li vinse e fugò a Mevania in riva al fiume Clitunno (2). Egli passato dall' Etruria nel Sannio aveva sottomessa anche Nuceria in Campania, e dopo in una gran battaglia ad Alife vinse un'oste sannite e la forzò a cedere le armi ed arrendersi. Fra i prigioni di quella giornata vi erano settemila degli alleati e amici dei Sanniti, che furono venduti come schiavi per metter terrore in quelli che

(1) Livio IX, 40.

2) Livio IX, 41; Diodoro XX, 44.

ancora pensassero a dar loro soccorso. Gli Ernici trovati tra essi furono dati in custodia ai Latini, mentre a Roma se ne farebbe processo. Ciò fece sollevare a guerra molte città, e messe Roma in grande apprensione. Ma gli effetti non corrisposero alle minaccie, quantunque i Sanniti per unirsi ad essi e aprirsi la via nel Lazio uccidessero le guarnigioni romane di Calazia e di Sora. A Roma fu fatta leva di tutti i cittadini da 17 a 45 anni: e un esercito fu mandato nel Sannio per impedire ai Sanniti di venire in soccorso degli Ernici, mentre contro questi ultimi correva il console Marcio. Gli Ernici non fecero nulla che fosse degno della loro antica fama di guerra. In pochi giorni furono cacciati da tre campi in cui si erano muniti, e si dovettero dare in suggezione di Roma. Ad Anagni ed alle altre città che avevano mossa la guerra fu data la cittadinanza senza suffragio, con divieto di nominare magistrati, di tenere assemblee e far connubii tra loro: a quelli di Alatri, di Ferentino e di Verula rimasti fedeli fu lasciata l'indipendenza municipale e il diritto di connubio e commercio (1).

Dopo ciò tutte le forze romane si ridussero di nuovo nel Sannio, uccisero in una battaglia trentamila uomini, e recarono i Sanniti alle estreme necessità. Questi allora domandarono una tregua, e dettero all'esercito vincitore vesti e vettovaglie per due mesi, e un anno di paga. Alle richieste di pace Roma rispose offrendo la condizione durissima che i vinti avessero a rinunziare alla loro indipendenza e per costringerli a sottomettersi, per cinque mesi le legioni disertarono il loro paese, correndo da una ad un' al

(1) Livio IX, 43.

An. di

Roma 450

304.

tra contrada, tagliando gli alberi fruttiferi, distruggendo le mêssi, ardèndo le case (1). Per il che montati in furore i Sanniti fecero vendetta correndo e menando a guasto in Campania l'agro falerno e stellate posseduto dai cittadini romani (2). D'onde venne cagione a nuove battaglie combattute a Boviano e a Tiferno ove rimase prigione Stazio Gellio generale sannite, e disfatta sua gente, e quindi riprese Sora, Cerennia e Arpino (3).

Le nuove sconfitte fecero rinnovare le domande di pace la quale fu conceduta a patto che il Sannio Av. G. C. riconoscesse l'alto dominio di Roma (4). Nè ad essi soli furono imposte queste condizioni durissime a tutti i liberi uomini; anche i loro amici furono puniti: e le legioni uscite dal Sannio si mossero contro gli Equi che ad essi avevano dato soccorso. Quei forti guerrieri che già dai monti nativi avevano dato a Roma si fiero travaglio, e alla difesa di loro indipendenza si erano mostrati sì ardenti, si tacevano da lunga stagione, e le roccie e le valli non sonavano più degli usati gridi di guerra. L'amore della libertà non erasi spento nei loro petti animosi: ma ora, côlti quasi alla sprovvista senza che avessero agio a radunare oste sufficiente a resistere in campo aperto, presero ciascuno il tristo consiglio di stare a difesa delle proprie sedi. Onde i Romani, avendo facilità a correre tutto il loro territorio, assalirono a uno a uno i luoghi più forti, in cinquanta giorni presero quarantuna tra borgate e città, e spen

(1) Diodoro XX, 80.

(2) Diodoro XX, 90.
(3) Livio IX, 44.

(4) Livio IX, 45 dice: Foedus antiquum redditum. Ma il contrario è narrato da Dionisio. Vedi Niebhur V, 360

sero quasi il nome degli Equi. La qual cosa messe tanto spavento nei vicini popoli che anche i Marsi, i Marrucini, i Peligni e i Frentani chiesero pace ai vincitori e col nome di alleati furono soggetti alla loro potenza (1).

Roma usò il tempo della pace per assicurare le conquiste e per ritornare più forte in campo se la guerra scoppiasse di nuovo. Contro i non spenti nemici mandò nuove colonie. Alla linea delle fortezze già poste contro i Sanniti a Fregelle, ad Atina, a Interamna del Liri, a Casino, a Teano Sidicino e a Suessa, aggiunse le colonie di guarnigione a Sora, ad Alba Fucense e a Carseoli: dêtte il diritto di cittadinanza a quei di Arpino e di Trebula per farseli amici: prese agli Umbri la forte città di Nequino ed ivi pose sulla Nera contro essi la colonia di Narnia. Sulle terre degli Equi pose due nuove tribù, la Terentina e l'Aniense: fece confederazione coi Picentini parenti ai Sanniti, e spaventò tutti quelli che nutrissero il pensiero di esserle avversi (2).

Ma tutto ciò non poneva fine alla guerra, perchè i vinti rimanevano con in mano le armi e col cuore pieno dell' amore di libertà. I Sanniti avevano accettato la dura pace per avere agio a rifare le forze e aspettar tempi più favorevoli. Intanto si studiarono di tirare a loro parte gli Appuli, i Lucani e i Sabini, e quando ebbero ristorate lor forze (3), corsero di nuovo alle armi. Gli Etruschi pure fremevano di loro umiliazione, e la guerra scoppiò al tempo stesso in Etruria e nel

Sannio.

(1) Livio IX, 45; Diodoro XX, 101.

(2) Livio X, 1, 3, 9, 10, 11.

(3) Dionisio Excerpta, p. 2332.

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I Sanniti entrarono in Lucania e presero varie città ma i nobili di quella regione si messero sotto la protezione di Roma la quale intimò ai Sanniti di sgombrare il paese, e mandò un esercito a sostenere le minaccie. Il console Fulvio correndo in aiuto ai Lucani con felici strattagemmi battè i Sanniti e prese loro Boviano e Anfidena (1), mentre il suo collega L. Cornelio Scipione correva l'Etruria, vinceva in ostinata battaglia a Volterra, e dopo aver disertato e incendiato il paese si riduceva a Faleria (2).

Ma ad onta delle vittorie, i tempi correvano sì difficili che tutti i cittadini ricorsero al senno e al valore del vecchio Fabio, il quale accettò il consolato a patti che gli dessero a collega P. Decio figlio all' eroe che si era offerto vittima per le legioni nella guerra latina. Essi con due eserciti invasero il Sannio, vinsero a Tiferno e a Benevento, presero ai nemici uomini e bandiere, e le contrade empirono di incendii e di stragi (3). Ma i Sanniti non vinti da queste sciagure nè dalla sorte di Romulea, di Ferentino e di Murganzia, che appresso cadevano in potere dei Romani (4), presero un grande e animoso partito (5), il quale in altri tempi avrebbe potuto salvare la loro indipendenza, se essi e i loro alleati all'egregio valore di cui abbondavano avessero accoppiato severa disciplina, concorde volere e unità di consigli. Una parte di essi lasciarono le native montagne in preda al furore nemico per andare a con

(1) Frontino Stratag. I. 11. 2. 6, 1. 2; Livio X, 12.

(2) Livio loc. cit.

(3) Livio X, 13-15.

(4) Livio X, 17.

(5) I Niebhur VI, 69 lo chiama une des plus grandes conceptions de l'art militaire ancien, une combinaison qui surpassait même l'entreprise de Scipion sur l'Afrique.

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