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vita. Pare che fosse ricchissimo di greggi e di schiavi, e che avesse non pochi amici, tra i quali si contano anche Postumio Albino, Licinio Crasso, e il grammatico Elio Stilone. Abitò la casa fabbricata già dallo stato per Antioco Epifane quando venne a Roma in ostaggio. Viaggiò in Grecia e in Sicilia e mori a Napoli nel 651 (1).

Usando alla conversazione degli uomini più singolari di quella età, ebbe modo ad arricchire di scienza il suo festevole ingegno, il quale rivolse dapprima a lodare il suo amico Scipione, e poi scrisse trenta libri di satire e ritrasse i romani costumi in un tempo solenne, in cui stavano a fronte l'austerità antica e l'infamia delle nuove corruttele. La facile vena, lo stile urbano e i motti arguti e arditamente mordaci, gli acquistarono alta rinomanza dai contemporanei e dai posteri, fra i quali eravi chi lo poneva innanzi a tutti i poeti (2). Ma Orazio che in fatto di poesia era di gusto più difficile, se non gli nega l'acuto ingegno e i sali pungenti, ne riprende più volte i duri versi, la intemperanza, la soverchia verbosità, e il mettere troppa fretta allo scrivere, e il non adoprare la lima (3). E dai molti frammenti che ci rimangono è dato anche a noi di vedere la ruvidezza e la negligenza rimproverata dal critico: ma al tempo stesso ci appariscono anche le molte virtù di questo nobile ingegno e la veramente romana energia con cui esprime i forti pensieri e i forti affetti, e la nobile ira che le turpitudini dei costumi gli eccitavano nell'animo generoso.

(1) Vedi in più luoghi i frammenti delle sue satire pubblicati più volte nei secoli scorsi, e ultimamente a Parigi con aggiunte e con una notizia e commenti da E. F. Corpet. Vedi anche un bell' articolo di Carlo Labitte, Etudes litteraires vol. I, pag. 39.

(2) Vedi Quintiliano X, 1.

(3) Sat. 1. 4. vers. 5. ec.; Sal. 10, passim e II, 1

Le lettere e la poesia che finquì erano state esercizio di schiavi o liberti, per Lucilio ebbero la patente di nobiltà. Nobile e protetto dai grandi, egli potè levarsi impunemente ai grandi ardimenti che avevano recato sventura ad altri e invece della prigione e dell'esilio di Nevio ebbe fama di grande poeta. Nella sostanza prese a modelli gli autori greci dell'antica commedia che liberissimamente ritrassero i tristi e gli infami, chiamandoli col loro nome: ma quantunque spargesse di greche parole i suoi versi latini, i nuovi grecizzanti burlò, e rimase interamente romano, e degli antichi romani celebrò i forti costumi e la semplice vita, e pose ogni studio a rendere più temperanti i presenti, e a sforzarli a sentire la dignità della loro natura, e a imitare la costanza del saggio che rimane fermo in suo proposito anche se gli siano avversi gli Dei. Amava il bene e questo amore ispirava alti pensieri al suo animo, e lo rendeva eloquente contro la venalità dei soldati, contro il molle lusso venuto di Asia e di Grecia, contro le tavole imbandite magnificamente come le mense di Giove, contro i ghiottoni, bevitori, tavernieri che solo vivono pel ventre, e servono al ventre (1), divoratori degli altrui patrimoni, e cupidi così, che nulla può mai saziare lor brutta fame: contro gli avari che hanno la vita attaccata alla borsa contro gli ippocriti, cavillatori, e falsari e villani rifatti che si profumano l' irto capo: e contro quelli che stimano che la nobiltà e i titoli diano loro facoltà di essere impunemente ribaldi (2). Come Plauto aveva detto dello

(1)

(2)

Vivite lurcones, comedones, vivite ventres.
V. Nonio v. Lurcones.

Peccare impune rati sunt
Posse et nobilitate facul propellere iniquos.
V. Nonio v. Facul. e Corpet p. 63.

studio grande riposto a conseguir favore ed onori, Lucilio si duole che l'oro e gli onori siano diventati per tutti il segno della virtù, e che dalla roba si faccia stima degli uomini (4). In bei versi in cui si sente tutta la vigoria dell' antico genio latino sono sdegnosamente dipinte le infamie del foro, ove ogni giorno da mane a sera popolo e patrizi ogni studio e ogni industria ripongono a usare dolci parole, a gareggiare di blandizie e a fingersi buoni per avere più comodità a ordire inganni, e a tessere insidie come se tutti fossero nemici di tutti (2). Chiamava col loro nome i malvagi, e denunziavali al pubblico come fece Catone, perchè lo assicurava la buona coscienza (3). Fremeva, e ardente menava attorno sua spada (4), e agli impostori strappava la maschera, colpiva tutto il popolo di tribù in tribù, assaliva i maggiorenti e anche i Metelli, non guardava ad uomini o a Dei, risparmiando solo la virtù e gli amici di essa (5). E alla virtù rese una testimonianza solenne colla quale ci è dolce finire le nostre parole di lui. La virtù, egli dice, sta nello stimare rettamente le cose tra cui ci avvolgiamo e viviamo, e nel conoscere ciò che ogni cosa sia in se stessa. La virtù per l'uomo è sapere quello che è retto, utile, onesto, e ciò che ad essi è contrario. Virtù è sapere

(1)

Aurum atque ambito specimen virtutis utrique est :
Quantum habeas, tanti ipse sies, tantique habearis.
Fragm. cit. p. 229.

(2) Lattanzio, Div. Instit. V. 9.

(3) Prisciano X, 8.

(4) Giovenale Sat. I, 167.

(5) Orazio Sat. II, 1, vers. 62 e segg. Lattanzio dice di lui: Diis et hominibus non pepercit: e in questo proposito egli cita (Div. Instit. I, 22) un bel frammento in cui è dichiarata guerra aperta alle superstizioni popolari ed è detto che nelle antiche leggende tutto è menzogna. Veri nihil, omnia ficta.

Storia antica d'Italia. Vol. II.

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por modo e misura nel procacciare la roba: virtù stimare le cose per quello che meritano: virtù onorare le cose degne di onore: virtù farsi pubblico e privato nemico degli uomini e dei costumi malvagi, e difenditore e laudatore e caldo amico dei buoni. Finalmente è virtù il bene della patria porre innanzi a ogni cosa, poi quello dei parenti, e il nostro vantaggio mettere in ultimo luogo.

Virtus, Albine, est pretium persolvere verum,
Queis in versamur, queis vivimu', rebu' potesse :
Virtus est homini, scire id, quod quæque habeat res.
Virtus scire homini rectum, utile, quod sit honestum;
Quæ bona, quæ mala item, quid inutile, turpe, inhonestum:
Virtus quærendæ rei finem scire modumque:

Virtus divitiis pretium persolvere posse:

Virtus, id dare, quod re ipsa debetur honori:

Hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum,
Contra defensorem hominum morumque bonorum,
Magnificare hos, his bene velle, his vivere amicum:
Commoda præterea patriæ sibi prima putare,
Deinde parentum, tertia jam postremaque nostra (1).

(1) Lattanzio, Div. Instit. VI, 5.

Fine del Volume Secondo.

INDICE

DEL SECONDO VOLUME

LIBRO TERZO. Roma alla conquista d'Italia.

CAP. I. Roma risorgente dalle rovine, col senno e va-
lore di Cammillo resiste a tutte le genti d'attorno,
sollevate contr' essa. Gli usurieri tornano in campo
più violenti. Manlio Capitolino piglia la difesa dei
poveri. Leggi economiche e politiche di Licinio Sto-
lone, e altri provvedimenti intesi a levar via la
miseria del popolo e la ineguaglianza politica. Vit-
torie sui Galli invadenti di nuovo le campagne ro-
mane, sugli Etruschi e sui vicini della riva sinistra
del Tevere. Prima guerra nel Sannio. Grande guerra
latina vinta alla battaglia del monte Vesuvio. Il La-
zio e la Campania vengono in potere di Roma.
CAP. II. Lunga ed eroica lotta dell'indipendenza sannite.
I Romani alle forche Caudine. Successi e sconfitte
in Campania, nel Sannio, in Apulia, in Lucania.
Vittorie di Roma in Etruria e in Umbria. Sottomis-
sione degli Ernici, Equi, Marsi, Marrucini, Peligni
e Frentani. Colonie nei paesi vinti. Lega dei San-
niti, Etruschi, Umbri e Galli. Grandi battaglie di
Sentino e di Aquilonia. Il Sannio disertato e sog-
giogato: vinti i Sabini: battuti i Senoni, i Boi, gli
Etruschi e gli Umbri, e l'Italia centrale sottomessa
al dominio di Roma

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