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contratto di questa sorte, stipulato con tutte le forme puoi vederlo nell' Asinaria di Plauto (1) ove se è esagerazione comica nei particolari, la sostanza della cosa non può mettersi in dubbio, perchè l'uso di tali contratti di amore è ricordato anche da altri che si dicono testimoni dei fatti (2). Quelle sciagurate spesso erano condotte davanti ai triumviri, spesso ricevevano ingiuria dai ricchi, nè avevano sostegno bastante nelle leggi e nei magistrati. Perciò alcune si davano interamente ad un uomo che le proteggesse, si ponevano nella clientela di qualche casa potente, e ciò che più è singolare, anche sotto la protezione di qualificate matrone alcune delle quali facevano loro carezze pubblicamente quantunque in segreto le odiassero (3).

Una cortigiana famosa di nome Ispala Fecenia era cliente della vedova di un cavaliere romano, e per opera di lei furono scoperte le turpitudini dei Baccanali i quali sono un'altra rivelazione di quanto fossero caduti a basso i costumi.

Narrano che un greco sacerdote e indovino venne in Etruria e quivi si fece insegnatore di misteriose dottrinė. Dapprima comunicò i suoi disegni con pochi: poscia divulgò i misteri fra uomini e donne e tirò a sè molta gente, perocchè alle pratiche religiose aggiunse piaceri di vino e di cibi e corruttele di ogni maniera a cagione che ognuno trovasse apparecchiate le voluttà a cui più era inclinato. Adunati in orgie notturne a celebrare le feste di Bacco, gli iniziati ai misteri si abbandonavano a cose crudeli e oscenissime. Dall' Etru

(1) Asinar. IV, 1.

(2) Vedi Ovidio Remed. amor. 659 e segg.

(3) Plauto Cistellar. I, 1; Livio XXXIX, 9. In Plauto una cortigiana dice: sumno genere natae, summates matronae. nostro ordini palam

blandiuntur.

ria questo contagio passò a Roma, ove per la grandezza della città e per la moltitudine degli abitanti la setta rimase nascosta e sfuggì alla vigilanza dei magistrati. Poi venne a notizia dei consoli per questo modo. Duronia vedova di un cavaliere romano maritatasi in seconde nozze con T. Sempronio Rutilo, a lui affidò la tutela di Ebuzio, figlio natole dal primo marito. Sempronio amministrò male e rovinò le sostanze, e non potendo rendere buon conto dell'opera sua desiderava o di levarsi davanti il pupillo, o di renderlo a sè soggetto con qualche forte legame. Gli parve buono espediente iniziarlo alle corruttele dei Baccanali, e a tale effetto s' intese con Duronia perchè preparasse a questo l'animo del giovane. Ma Ebuzio avendo pratica e dimestichezza con la cortigiana Ispala Fecenia che lo amava e lo soccorreva nei suoi biso

gni, conferì la cosa dei Baccanali con essa, e fu da lei che conosceva quei vituperi confortato a non lasciarsi iniziare. Il giovane allora mostrò repugnanza grandissima ai voleri della madre e del patrigno, i quali perciò lo cacciarono via da sè villanamente. Egli si riparò a casa di una zia paterna, che udendo ciò che accadeva ne dette subito avviso al console Postumio, il quale ordinò che Ispala Fecenia comparisse dinanzi a lui, e datale sicurtà che non patirebbe alcun danno se rivelasse i segreti dei Baccanali, la recò a manifestare tutto ciò che sapeva. Allora con maraviglia e terrore si seppe che cravi una congrega numerosissima che si adunava cinque volte ogni mese in assemblee notturne ove fra le tenebre e fra l'ebbrezza spegnendosi ogni vergogna si facevano stupri di maschi e di femmine, e dalle orgie della libidine si passava ad altri delitti, di false testimonianze, di

false scritture, di falsi suggelli, di delazioni calunniose, di avvelenamenti, e di segrete uccisioni. Chi non consentiva subito a tali brutture era spento colle insidie o colla forza aperta. Alcuni erano istantaneamente portati via da una macchina, e si dicevano rapiti dagli Dei. Tutto ciò facevasi in mezzo a grande rumore di timpani e di cembali, i quali impedivano che si ascoltassero i lamenti e le grida dei miseri cui era tolto l'onore e la vita. Gli uomini come invasati di mente vaticinavano: le matrone correvano con capelli sciolti e portando fiaccole accese a modo di Baccanti. La setta era già sì numerosa che poteva dirsi un altro popolo, e vi erano uomini e donne di qualità. Da ultimo si era stabilito di non ricevervi chi fosse maggiore di 20 anni per avere nella tenera età modo più facile alla seduzione e alla violenza (1).

Postumio venuto a notizia di queste scelleratezze rapportò tutto per ordine al senato; e al popolo adunato espose tutta l'atrocità della cosa e mostrò che se non vi si pigliava pronto e forte riparo, l'empia congiura metteva a gran pericolo la sicurezza della repubblica. Pare che anche Catone pronunziasse un discorso in questa occasione (2). Il Senato rese grazie al console della scoperta, e quindi fu provveduto al riparo dando autorità straordinaria ai consoli per fare inquisizione su questi delitti. Un senatoconsulto proscrisse per tutta Italia le feste di Bacco (3): e i consoli impedirono con gran diligenza che i colpevoli potessero fuggire. Il ma

(1) Livio XXXIX, 8 e segg.

(2) V. Festo v. Precem. e Egger, Latini serm. reliquiae pag. 127. (3) Di questo senato consulto rimane ancora il testo originale trovato l'anno 1640 nel Bruzio sopra una tavola di bronzo che ora sta nel Museo di Vienna. Fu stampato più volte e ultimamente dall' Egger, Latini sermonis vetustioris reliquiae selectae, Paris 1843.

gistrato dei triumviri sopra il criminale messero guardie per la città a impedire ragunanze notturne, e gli edili ebbero cura di arrestare i sacerdoti degli empi sacrificii. Dopo molte ricerche si seppe che il numero dei colpevoli montava a settemila, e che i loro capi erano Romani e Campani. Arrestati i più, e fatta l'esamina fu proceduto al giudizio tanto in città che nei luoghi dattorno. I meno rei ebbero pena di carcere, ma quelli che si erano contaminati di uccisioni, di stupri e di altre lordure furono condannati nel capo. I morti furono molti, e tra questi non poche donne di qualità alcune delle quali non trovando modo a fuggire si uccisero da se stesse. I luoghi dove si radunavano furono rovinati, e due anni appresso coll' incarcerazione di quelli che si erano nascosti nella regione di Taranto fu tolta di mezzo da tutta l'Italia la vituperosa setta (1).

Gli iniziati dei Baccanali tenevano essere il sommo della religione il non avere nulla per non lecito, e il fare in ogni cosa la loro voglia. E questa religione di ribaldi dicevasi partita di Grecia, d'onde pure veniva in compagnia dei mali costumi la miscredenza a tutto quello che in altri tempi aveva formato la gloria e la forza di Roma. L'invasione degli Dei Greci era già cominciata nelle trascorse età, e con essi erano venuti sacerdozi e riti novelli (2). I ruvidi e austeri numi degli antichi italiani erano lasciati da banda per la elegante mitologia greca, che secondava le voglie della generazione novella cupida in ogni cosa di splendore

(1) Livio XXXIX, 8, 20 e 41; Valer. Massimo VI, 3, 7.

9;

(2) Dionisio X, 53; Livio IX, 30; XXV, 5; Cicerone De Legib. II, Pro Balbo 24; Macrobio Sat. I, 17; Servio Georg. II, 394; Valer. Mas

simo I, 1.

e di lusso. Gli antichi Dei romani fatti di terra cotta erano tenuti in dispregio, e indarno Catone ne muoveva lamento (1), perocchè ei non poteva resistere all' impetuosa corrente che portava anche leggi permettenti di diffamare gli Dei (2). Nè ciò avrebbe recato gran male se con le vecchie credenze non fosse caduta anche la morale e la fede del bene, se ai vecchi riti si fosse sostituito qualche cosa che potesse allontanare la società dal precipizio insegnando dottrine contrarie a quelle che il mal fare lodavano, e al bene davano biasimo (3). Ma gli Dei novelli erano brutti di turpitudini, e davano di sè mali esempi, e nella commedia latina imitata dai Greci appariscono sulla scena femminieri, dissoluti, ebbri, frodolenti e incoraggiano gli uomini al vizio. Giove si diletta a metter disturbi e discordie nelle famiglie, inganna i mortali e ne gode le mogli, e minaccia di rompere il collo a chi si lamenta e Mercurio dice che ei fa benissimo a darsi bel tempo e che gli uomini dovrebbero studiare di imitarlo (4). Quindi si fa il male sull'esempio di essi: dopo aver commesso un delitto si crede che sia stato per volere dei numi perchè se non l'avessero voluto, non l'avrebbero permesso (5): si mettono in burla come lontani, e si crede che non si diano pensiero alcuno degli umani lamenti (6). Si erano inal

(1) Livio XXXIV, 4.

(2) S. August. De Civit. Dei II, 12.

(3) Vide, sis, quo loco respublica siet, ubi quod reipublicae bene fecissem, unde gratiam capiebam, nunc illud idem memorare non audeo, ne invidiae siet. Ita inductum est, male facere impoene: bene facere non impoene licere. Catone cit. da Frontone Epist. ad Antonin. II, pag. 50.

(4) Plauto, Amphytr. Prolog. e III,

(5) Plauto, Aulul. IV, 6.

1;

IV,

4; V, 3.

(6) Plauto, Mercator I, 1; II, 4; Casina II, 5, vers. 239.

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