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CAPITOLO II.

Lunga ed eroica lotta dell' indipendenza sannite. I Romani alle forche Caudine. Successi e sconfitte in Campania, nel Sannio, in Apulia, in Lucania. Vittorie di Roma in Etruria e in Umbria. Sottomissione degli Ernici, Equi, Marsi, Marrucini, Peligni e Frentani. Colonie nei paesi vinti. Lega dei Sanniti, Etruschi, Umbri e Galli. Grandi battaglie di Sentino e di Aquilonia. Il Sannio disertato e soggiogato: vinti i Sabini. Battuti i Senoni, i Boi, gli Etruschi e gli Umbri, e l'Italia centrale sottomessa al dominio di Roma.

I Sanniti presto si accorsero che aiutando i Romani a vincere il Lazio non avevano fatto altro che aggiungere nuove forze a chi voleva la servitù e la rovina del Sannio. Che a ciò fossero rivolti tutti i pensieri di Roma lo dimostravano la colonia posta a Cales come fortezza sulla frontiera sannite, e l'altra a Fregelle luogo già preso dai Sanniti sui Volsci (1). Di più Roma (422) si alleò con Alessandro Molosso re di Epiro, il quale chiamato in Italia per difendere le colonie greche contro i Sanniti, Bruzzi e Lucani, era sbarcato a Pesto, e gli aveva battuti in più scontri (2). L'indegna alleanza con uno straniero era una nuova e grave minaccia a tutti i popoli di stirpe italiana. Ciò sentirono i Sanniti i quali si sforzarono di sollevare contro Roma gli abitanti di Priverno, di Fondi, di

(1) Livio VIII, 22.

(2) Livio VIII, 17; Giustino XII, 2.

An. di Roma 425.

329.

Formia (1) e di cercarle nuovi nemici nell' estrema Campania. Gli odii s'invelenivano da ambe le parti, e aspettavano l'occasione per iscoppiare a manifesta

rottura.

La ribellione di Priverno e di Fondi non fece alAv. G. C. tro effetto che rendere ivi la dominazione romana più stabile, ed aggiungere nuove fortezze a minaccia del Sannio. All' arrivo di due eserciti consolari, Fondi si arrese a discrezione: Priverno fu presa di assalto ed ebbe le sue mura disfatte. Ma poichè quel luogo vicino al Sannio poteva essere di grande comodità in caso di guerra, gli abitanti furono uniti a Roma col beneficio della cittadinanza, e fu posto ivi un forte presidio. che difendesse la via della Campania, mentre col medesimo fine ponevasi una colonia anche a Terracina (2).

I fieri abitatori dell' Appennino erano offesi da tutte queste dimostrazioni dell' ambizione romana. Gli animi accendevano: preparativi si facevano da ambe le parti e alla fine un nuovo fatto fu causa all'immediato prorompere a guerra aperta.

Ove ora sorge la popolosa Napoli erano allora Palepoli e Neapoli le quali, fondate dai Greci di Cuma, componevano un solo comune, ed avevano un popolo fatto ricco dai traffici, e ammollito dalla prospera vita e dal dolce clima. A questa gente, gelosa della potenza romana stabilita in Campania, ebbero ricorso i Sanniti, e la eccitarono a fare scorrerie e devastazioni per l'agro Campano e Falerno. I Romani, chiesta vanamente riparazione alle ingiurie, minacciarono guerra, ma prima con accorto modo tentaronc di separare i Palepolitani e i Neapolitani dalla causa del Sannio, e

(1) Livio VIII, 23.
(2) Livio VIII, 21.

sebbene non conseguissero pienamente l'intento, riuscirono a dividere gli animi. Dall' altro canto i Sanniti, i Tarentini e i Nolani insistevano perchè si facesse la guerra alla quale promettevano gagliardi aiuti. Questo partito alla fine prevalse, e seimila fra Sanniti e Nolani accorsero alla difesa di Palepoli. I Romani ne mossero lamento come di violazione dei trattati: al che i Sanniti risposero rimproverando l'indegnità della colonia posta in casa loro a Fregelle, e dopo aspre parole concluseró dichiarando la guerra, e dicendo che aspettavano i Romani in Campania ove si deciderebbe chi dovesse avere l'impero d'Italia (1).

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La lotta ricominciò subito e durò per lunghi anni. Innumerevoli furono le devastazioni e le stragi. Le alte foreste dell' Appennino, e le valli di Campania e di Apulia per lunga stagione sonarono di rumore guerresco e se videro morire molti dei loro abitatori, videro anche lonta delle legioni romane sulle quali dagli aguati e dalle balze dei monti precipitavano i popoli ardenti di conservare la loro libertà. Vi furono combattimenti da eroi: comparvero dall' una parte e dall' altra capitani famosi: vi furono prove maravigliose di coraggio e di costanza: vi furono famosi strattagemmi di guerra, e tregue e trattati indegnamente traditi. Ad ogni istante sono narrati i gloriosi trionfi di Roma, e le stragi e gli esterminii delle osti sannitiche: pure li vediamo ad ogni istante tornare vigorosi e pieni di ardimento all'assalto. Lungamente, e con cuore da eroi sostennero la loro indipendenza, studiandosi anche di unire a sè le altre genti italiane, e di suscitare dappertutto la rivolta e la guerra ai danni di Roma.

An. di

Roma 428

av. G. C.

326.

(1) Livio VIII, 22, 23.

Storia antica d'Italia. Vol. II.

7

Ma ad onta di tanti sforzi non riuscirono a salvarsi, perchè per difendere la libertà e l'indipendenza di un popolo non basta il coraggio. La vittoria finale, dopo lunghi e penosi travagli, toccò a Roma, perchè, oltre al coraggio e al senno di guerra, aveva eserciti meglio ordinati, aveva l'unità di consiglio e di azione che mancava ai Sanniti e a tutti gli altri popoli italici.

Non è possibile seguire tutti i movimenti di questa interminabile guerra, e di narrare le infinite battaglie che empirono di sangue e di desolazione i campi sanniti. Molti fatti sono pieni di contradizioni e di tenebre, nè furono narrati con particolarità sufficienti a far conoscere i luoghi ove accaddero e le arti di guerra dei combattenti. Altri sono senza dubbio esagerati dai vincitori che ad accrescere lor gloria moltiplicano le disfatte e le stragi dei vinti. Noi faremo passare davanti al lettore gli avvenimenti che ebbero conseguenze più gravi, e che portando la rovina della più ardita gente italiana aprirono a Roma la via alla dominazione dell'Italia inferiore.

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Roma, fatti gli apparecchi che poteva maggiori messe in campo due eserciti, l' uno dei quali, comandato dal console Lucio Cornelio, andò a fronteggiare i Sanniti dalla parte di Capua, mentre l'altro, sotto gli ordini di Publilio Filone, si poneva a bloccare Palepoli, e Neapoli si adoprava a dividerne le forze interrompendo le comunicazioni fra l'una e l'altra. Il blocco fu lungo e poichè finiva il tempo del consolato a Publilio prima che avesse terminato l'impresa, fu lasciato egli stesso al governo della guerra col titolo di proconsole (1), e fu fatta cosi una novità di grande im

(1) Livio VIII, 23.

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