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battuto quantunque stessero per lui i re del Ponto, di Bitinia, di Cappadocia e di Paflagonia, tutti soggetti di Roma con nomi diversi. Egli più che a ogni altra cosa pensava ad arricchirsi di preda, e caduto in mano ai nemici pagò colla morte le pene di sua smodata avarizia. A vendicarlo vennero l'uno appresso l'altro i consoli Perpenna e Aquilio i quali posero fine alla guerra. Aristonico fu fatto prigione a Stratonicea di Caria e condotto a Roma in trionfo fu esposto agli insulti del popolo, e poi strangolato in prigione. Aquilio finì di sottomettere le città dell' Asia Minore avvelenando le fonti da cui traevano l'acqua. E dopo la prima vittoria, il regno di Pergamo, cioè la Lidia, la Caria, l' Ellesponto e la Frigia fu ridotto interamente sotto la signoria di Roma e formò la provincia di Asia (1).

Così poco dopo l'entrare del secolo settimo le più grandi conquiste romane erano compiute. Roma possedeva le tre grandi penisole dell' Europa meridionale, l'Italia, la Grecia e la Spagna. Fra l'Italia e la Grecia si era aperta una via intorno all' Adriatico colle vittorie sugli Istriani, sugli Iapodii, sui Dalmati e sugli Illirii studiando di estendere i suoi possessi da Zara a Ragusa (2). Era andata anche a cercare sul Danubio i popoli che Filippo e Perseo avevano eccitati ai danni d'Italia. Aveva cominciato anche ad assalire i Galli delle Alpi (3), e presto porrà piede anche nella Gallia meridionale. Intanto proteggendo le colonie marsiliesi

(1) V. Sallustio Fragm. Hist. IV; Floro II, 20; Giustino loc. cit.; Velleio II, 4; Livio Epit. 59; Eutropio IV, 9; Valerio Massimo III, 4; Strabone XIV.

(2) Polibio XXXII; Fragm. 10 e 11; Niebhur Lectures on the hist. of Rome II, 227.

(3) Livio Epit. 46 e 47.

di Nicea (Nizza) e di Antibo (1) si teneva aperta la via delle coste da quella parte, e l'antichissima amicizia con la città di Marsilia (2) le apriva il passo per mare alla Spagna finchè gli stabilimenti di Aquae sextiae (Aix) e Narbona non le dessero sicura la via di terra.

In Affrica il nemico veramente formidabile era vinto colla distruzione di Cartagine e il grande territorio di essa accresceva di molto la potenza dei vincitori. Ivi Roma aveva in sua tutela l'Egitto smembrato e diviso più volte, affinchè le deboli membra cadessero più facilmente in poter suo. Nell' Asia ogni sforzo era fatto ed usata ogni arte per recare al nulla i re di Siria: e comecchè questi recalcitrassero, il senato alleandosi coi Giudei nemici dei Sirii aveva ridotto il gran regno ai termini estremi. I piccoli re dell' Asia Minore stavano tutti a discrezione di Roma che li governava a suo senno, disponeva di ogni loro forza, e faceva sentire suo dominio fino al monte Tauro. Le piccole città non solo obbedivano ma portavano fino al culto l'adulazione. Rodi inalzò al popolo romano un colosso nel tempio di Minerva. Quei d'Alabanda veneravano Roma qual Dea, e le inalzarono un tempio e istituirono giochi in onore di essa (3).

La dominazione di Roma si distendeva ora dall'Oceano alle rive dell' Eufrate, e dall' Alpi all' Atlante. Le contrade che fuori d' Italia le stavano soggette erano la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, la Spagna Citeriore e la Spagna Ulteriore, la Macedonia con la Tessaglia, con l'Iliria e con l'Epiro, l'Acaia, l'Affrica, l'Asia e

(1) Polibio XXXIII, 5; Livio Epit. 47.

(2) Giustino XLIII, 5.

(3) Polibio XXXI, Fragm. 14; Livio XLIII,

la Gallia Cisalpina a cui in breve si aggiungeranno altre regioni (1). Questi luoghi sottomessi dalla vittoria furono chiamati provincie, e il grande studio della romana politica dopo averli vinti, fu di conservarli soggetti. Per mostrare ai vinti che non erano più nulla, oltre agli averi rapivano loro anche le cose di cui più andavano gloriosi, i trofei acquistati col sangue, e le venerate imagini dei loro grandi uomini e Polibio ebbe gran pena a salvare ai Greci le statue di Arato e di Filopemene (2). In più luoghi col tor via le costituzioni antiche dei popoli, ruppero tutti i legami per cui si sentivano nazioni e invece di quelli posero altri ordinamenti che servissero all' intento della vittoria (3). Pure come presso le varie genti Roma trovava differenze di costumi, di leggi, di istituzioni e di civiltà, usò diversità di governi e si conformò alle varie nature degli uomini. Anche nelle provincie seguì il modo tenuto già nella sottomissione d'Italia, e per tal via riuscì a tenersi soggetti tanti milioni di uomini sparsi per gran parte di mondo:

Vedemmo già quali modi furono tenuti dai Romani in Sicilia, gli ordinamenti della quale poscia servirono di modello alle altre provincie (4). I vinti delle provincie non erano cittadini ma sudditi e tributari. Pure ad alcuni lasciarono le libertà municipali che possono stare anche col dispotismo politico. Alcune città si di

(1) Vedi in Velleio Patercolo II, 38, 39 il prospetto delle provincie romane.

(2) Polibio XL, Fragm. 6 e 7.

(3) Vedine esempi in Livio XXV, 40, XLV, 33; in Cicerone Verr. II, 13; in Plutarco Lucull. in Giustino XXXIII, 2; e in Valerio Massimo VI, 9, 8.

(4) Vedi sopra in questo volume a pag. 203 e segg.

cevano alleate e amiche di Roma e potevano governarsi a loro talento. Di così fatte ne erano parecchie in Sicilia (1) e tale era anche Gade nell'ultima Spagna (2). Delle immuni dalle gravezze se ne incontrano in più parte e anche in Illiria (3). Delle città che hanno nome di libere ne sono dappertutto tranne in Sardegna (4). Finalmente anche alcuni individui è detto avere ottenuto libertà e immunità per sè e loro schiatta (5).

Le medesime varietà sono anche in Grecia ed in Affrica. Per accomodare le differenze delle città greche e avvezzarle al nuovo governo, i vincitori usarono dell'opera dello storico Polibio, il quale fece tutto ciò che poteva per render meno infelici le sorti della sua patria (6). In più parti rimasero alcune delle leggi e delle consuetudini antiche (7), e gli ordinamenti di religione e le feste come in Sicilia e nelle altre provincie (8). Ivi pure furono città libere, e le pubbliche assemblee sciolte dapprima, si ristabilirono quando non si tenevano più pericolose (9). Più tardi fu permesso ai Greci anche di aver giudici di loro nazione e di finire le contese secondo lor proprie leggi: del che andavano sì contenti che credevansi tornati a libertà (10).

(1) Cicerone in Verr. II, 37, 49, 66; III, 6; V. 19.

(2) Cicerone Pro Balbo 11 e 16.

(3) Livio XLV, 26.

(4) Cicerone Pro Scauro, Fragm. 44.

(5) Diodoro XIV, 93.

(6) Polibio XL, Fragm. 8.

(7) Pausania VII, 16; Zonara IX, 31.

(8) Cicerone in Verr. II, 51, 52; IV, 49; Gaio II, 7.

(9) Pausania loc. cit.

(10) Cicerone Epist. ad Attic. VI, 1.

In Affrica i popoli barbari dell' interno furono tenuti per mezzo di principi indigeni, mentre sulle coste ov'era maggior civiltà, Roma comandò da se stessa e v' introdusse ordinamenti e magistrati e maniere

romane.

Insomma le differenze si incontrano da ogni banda: vi sono città suddite paganti tributo, città munieipali libere dalle gravezze: vi sono prefetture, e più tardi colonie romane e latine a Cartagine, ad Aquae sextiae (Aix), a Narbona, e in Corsica a Mariana e ad Aleria (1).

Pure ciò che è immunità, ciò che dà ai vinti meno incomportabili sorti è nella comune rovina qualche rara eccezione. La regola comune è la servitù, e di piena sudditanza sono le relazioni dei vinti con Roma.

Al governo delle provincie vanno pretori, propretori e proconsoli eletti a ciò dai comizi e destinati dalla sorte a questo o a quel luogo (2). Il governatore appena eletto e solennemente investito dell' imperio secondo le forme antiche, fa preghiere e sacrificii come l'uso domanda, e quindi parte per la provincia a lui destinata. Lo accompagna la coorte pretoria e seguito grande di conoscenti e di amici: ha scrivani, interpetri, araldi, medici (3), e altra gente che va per apprendere a governare o a cercare sua ventura. L'autorità di lui comincia appena uscito dalle porte di Roma, e giunto al suo luogo egli è per un anno pa

(1) Livio Epit. 61; Velleio Patercolo I, 15; II, 8; Plinio III, 12. (2) Livio XXII, 35; XXIII, 30; XXV, 3; XXVII, 7, 36; XLV, 16; Cicerone Epist. ad Famil. VIII, 18.

(3) Cicerone in Verr. II, 10, 30; III, 37; Plutarco, Catone; Appiano De Rebus Pun. 66.

Storia antica d'Italia. Vol. II.

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