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gnare cose di poco

valore si cominciò ad usare l'espressione proverbiale di Sardi da vendere (1).

Così Roma teneva a dovere gli antichi soggetti, mentre procedeva a novelle conquiste. Ma la gioia dei suoi trionfi era turbata dal pensiero che il suo grande nemico trovasse ancora nel mondo un rifugio. Finchè Annibale fosse vivo ella non si teneva sicura, e mosse persecuzione vilissima a lui vecchio, esule, sventurato. Il famoso capitano abbandonato da Antioco e cercato a morte fuggì presso Prusia re di Bitinia, e gli offrì contro Eumene di Pergamo la sua esperienza di guerra. Non tardò a giungerlo anche colà l'immortale odio di Roma, e Flaminio venne a minacciare il re che gli aveva dato ricetto. Prusia non volendo per salvarlo mettere a pericolo il regno, si fece sbirro di Roma, come noi vediamo di continuo re e repubbliche farsi sbirri a sozzi tiranni, e mandò ad arrestare il suo ospite. Annibale che sapeva con chi avesse a farla, aveva praticato alla sua casa sette uscite segrete, e si apparecchiava a fuggire. Ma le guardie erano da tutte le parti, e sottrarsi riusciva impossibile. Allora non pensò ad altro che a non cader vivo in mano ai suoi crudeli nemici e prese un violento veleno o si fece uccidere da uno schiavo nell'anno stesso (571) in cui l'Affricano suo vincitore moriva in esilio a Literno (2). La codarda guerra ad un vecchio inerme fu l'ultima impresa di Flaminio vincitore di Filippo di Macedonia.

Così per gioco di fortuna il più gran capitano del mondo dopo avere ucciso tante migliaia di uomini e

(1) Livio XLI, 21.

(2) Livio XXXIX, 51; Plutarco, Flaminio; Polibio citato da Livio 52.

scampati tanti pericoli, finiva di sua propria mano: e di tante prove fatte, di tanto rumore levato di sè, rimaneva solamente il suo nome per piacere ai fanciulli, come dice il poeta Satirico, e per divenire perpetuo argomento alle declamazioni dei retori.

O gloria! vincitur idem

Nempe, et in exilium praeceps fugit: atque ibi magnus,
Mirandusque cliens sedet ad praetoria regis,
Donec Bithyno libeat vigilare tyranno !

Finem animae, quae res humanas miscuit olim,
Non gladii, non saxa dabunt, non tela, sed ille
Cannarum vindex, ac tanti sanguinis ultor
Annulus. 1, demens! et saevas curre per Alpes,
Ut pueris placeas, et declamatio fias (1).

(1) Giovenale, Sat. X, 158 e segg.

CAPITOLO III.

Continuano in Grecia gli intrighi romani. Ultimi anni del re Filippo. In Macedonia ricomincia la guerra e continua variamente più anni. Il re Perseo e il console Paolo Emilio. Il re vinto alla battaglia di Pidna è condotto in gran trionfo al Campidoglio. I re e i popoli ai piedi di Roma. Persecuzioni dei vinti. Un avventuriere agita la Macedonia di nuovo. Anche gli Achei si levano in armi per tentare l'ultimo sforzo, e soccombono in campo. Tutta la Grecia ridotta a provincia romana col nome di Acaia.

Lo scomparire di Annibale era un grande ostacolo tolto ai disegni di Roma sull' Asia. Anche la morte di Filopemene giovava ai disegni di lei sulla Grecia. La romana politica aveva partorito i suoi effetti. I popoli già snervati erano ridotti all' estrema impotenza. Le greche contrade ardevano della guerra civile che Roma vi eccitava a nome della libertà. I Tessali e gli Etoli si massacravano e si distruggevano (1). Si discioglieva la lega achea che sola poteva riunire le forze più gagliarde rimaste ai Greci, e Filopemene, l'ultimo greco, moriva per mano di quelli che Roma aveva eccitato a sedizione: moriva dopo aver coraggiosamente combattuto per difendere l' indipendenza della patria, quantunque sentisse di non poterla salvare (2). La piena

(1) Livio XLI, 25; XLII, 56.

(2) Plutarco, Filopemene.

servitù della Grecia era prossima, e i protettori della sua libertà erano in procinto di levarsi la maschera. Ciò sentivano con amarezza gli Achei, e Licorta, l'amico di Filopemene, in piena assemblea aveva già detto a un commissario romano che essi non erano più nè liberi nè alleati, ma schiavi di Roma (1).

Quegli che più rimaneva pieno di maltalento e stavasi minaccioso era Filippo di Macedonia, il quale Roma aveva abbeverato di umiliazioni e d'insulti. Dapprima in premio degli aiuti avuti da lui nella guerra contro Antioco di Siria, gli dettero licenza d'ingrandirsi nei luoghi che gli venisse fatto di pigliare (2). Ma com' ei s'allargava per le contrade d' attorno alla Macedonia, venne ordine da Roma che si rimanesse dalle conquiste, e furono aiutati i nemici di lui (3). Allora si volse a ingrandirsi sulle coste di Tracia: ma spiato da quella parte da Eumene di Pergamo che voleva ridurre quei luoghi in poter suo, e accusato ai Romani, fu da questi chiamato a comparire davanti a tre commissarii i quali accolsero i lamenti e le accuse di tutti contro di lui. Egli rispose in atto minaccioso agli accusatori, che il sole non era tramontato per l'ultima volta (4), e covando in cuore sdegno immortale si preparava a far valere le sue ragioni colle armi.

Lo agitavano atroci furie: si faceva leggere ogni giorno il suo trattato con Roma per rinfiammarsi nell'odio. Studio grande poneva a raccogliere armi e denari, e a restaurare le forze del regno. Non essendogli concesso di tener navi da guerra, e trovandosi espo

(1) Livio XXXIX, 37.
(2) Livio XXIX, 24 ec.
(3) Livio XXXVIII, 1-3.
(4) Livio XXXIX, 25, 26.

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