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Capua venne con 13 mila uomini e si lasciò burlare da Asdrubale (1). A Roma si stava in molto travaglio per queste novelle, e sì basso stimavansi cadute le cose che niuno ardiva di offrirsi duce all'impresa di Spagna, comecchè a tutti apparisse le faccende di quella provincia essere d' importanza grandissima alla guerra d'Italia e alla salute della Repubblica. Gli animi erano grandemente commossi, e cupo silenzio teneva i comizi, quando uno strenuo giovane di 24 anni si fece avanti nel fôro a chiedere quello che rifiutavano gli altri. Si chiamava Publio Cornelio Scipione, era figlio al proconsole ucciso, e ardeva di vendicare la sua casa e la patria. Di quest' uomo destinato a vincere Annibale e a divenire uno de' più grandi uomini del mondo antico, si narrarono poi cose singolarissime. Dicevano prodigioso il suo nascimento per virtù di un serpente mandato dai Numi nel letto a sua madre fino allora infeconda. Ed egli accreditava queste novelle stando lungamente rinchiuso nel tempio di Giove, e dando ad intendere che s' intratteneva a conversazione cogli Dei sulle faccende della Repubblica. Correndo tempi di prodigii, perchè le fantasie agitate dalla presenza di Annibale vedevano cose stranissime, egli faceva suo pro delle volgari credenze e usava i prodigi a ridestare l'entusiasmo. Narrava sempre di rivelazioni celesti, di sogni e di visioni notturne (2). Per ciò che spetta ai suoi costumi, alcuni lo dicevano sobrio e severo fino dal fiore degli anni: altri gli davano taccia di femminiero e di dissoluto (3). Era di fortissimo animo

(1) Livio XXVI, 17.

(2) Polibio X, Fragm. 2; Livio XXVI, 19; Gellio VII, 1; Appiano loc. cit. 23. (3) Vedi le testimonianze citate da Gellio VI, 8; e Valerio Massimo VI, 9,

2.

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e intrepido nei pericoli fino da giovanetto, se è vero che a 17 anni salvasse la vita al padre al Ticino (1). Si trovò a Canne, e dopo la rotta con la spada alla mano ritenne i giovani patrizi che disperando di Roma volevano abbandonare l'Italia (2). All' intrepidezza univa altre virtù era benefico, largo in donare, affabile, di dolci maniere. Per tante qualità il popolo lo aveva in amore e lo fece edile curule prima che avesse gli anni da ciò (3). Perciò stesso ora ch' ei si presentava nel fôro e prometteva grandi cose di sè, tutti i favori si voltarono a lui, e unanimemente gli dettero il comando di Spagna, quantunque i vecchi chiamassero queste sue braverie temerità non grandezza (4).

Incuorato il popolo colle sue ardenti parole, partì con Lelio suo legato ed amico alla volta di Spagna, e sbarcò a Tarracona 10 mila fanti e mille cavalli. Là eccitò gli Spagnoli a favore di Roma, rese il coraggio ai soldati abbattuti dalle passate sciagure, e dicendo che gli Dei lo assicuravano di presta vittoria (5), volse l'animo a una grande impresa che facesse subito famoso il suo nome e mettesse terrore ai nemici. Vi erano quattro generali che tenevano le regioni dell'interno e del mezzogiorno di Spagna: Asdrubale e Magone fratelli di Annibale, Asdrubale Giscone e il Numida Massinissa celebrato pel più prode cavaliere di Affrica. Prima che essi riunissero insieme tutte lor forze, Scipione tentò un colpo arditissimo contro Cartagena centro della dominazione dei nemici in Ispagna e delle

(1) Polibio loc. cit.; Livio XXI, 46.

(2) Livio XXII, 53.

(3) Polibio loc. cit.; Livio XXV, 2.

(4) Appiano loc. cit. 18.

(5) Livio XXVI, 41.

loro comunicazioni coll' Affrica. Importando di giungere inaspettato, conferì il suo disegno solamente con Lelio che comandava la flotta, e lo spedì a quella volta colle navi, mentre egli con le truppe di terra muovendo dall' Ebro marciò sì rapidamente, che in sette giorni fece più di 300 miglia, e comparve improvviso davanti alla città che il mare, uno stagno, e alte mura e un presidio di 10 mila uomini rendevano fortissima. Non isbigottito da niuno ostacolo l'assali furiosamente da terra e da mare: colse l'opportunità della bassa marea: disse ai soldati che Nettuno apriva loro la strada fra l'onde, e cominciò a salire il primo le scale appoggiate alle mura (1). Fece prodigii di destrezza e di coraggio, e la fortuna aiutando l'audacia, l'esercito fu vincitore da ogni parte. Il presidio si arrese: la città fu messa a sacco e dette preda ricchissima di oro, di macchine da guerra, di armi, di navi, di vettovaglie (2) Vi erano anche gli ostaggi di tutta la Spagna, e Scipione ne fece suo pro. Li trattò umanamente, fu cortese loro di doni, rimandò ai padri e ai mariti intatte le fanciulle e le donne. Quindi era ammirato e amato per la sua temperanza, e i capi delle tribù, fra i quali Indibile e Mandonio uomini principalissimi, accorsero a lui e lo aiutarono di gente (3). Così cresciuto di forze e di animo, mandò Lelio a recare a Roma le liete novelle (4), e si volse contro Asdrubale che era più vicino degli altri e lo battè presso a Becula nella valle superiore del Beti (Guadalquivir) (5). Allora il fra

(1) Polibio X, Fragm. 2; Appiano loc. cit. 22.

(2) Livio XXVI, 42, 51.

(3) Polibio X, Fragm. 9.
(4) Livio XXVII, 7.

(5) Livio XXVII, 17, 18.

tello di Annibale quantunque vinto riuscì a sottrarsi al nemico per venire, passati i Pirenei e le Alpi, a farsi uccidere al Metauro con 60 mila uomini.

Scipione guerreggiò nella Spagna cinque anni: molte cose fece da sè molte per mezzo de' suoi luogotenenti Marcio, Silano e Lucio Scipione che più tardi fu il vincitore di Antioco. Quattro generali e quattro eserciti furono battuti e dispersi: gli avanzi dei vinti si ritirarono sui lidi estremi a Gade, la quale pure alla fine si arrese. Invano scoppiarono sedizioni nel campo romano: invano alcune città cupide d' indipendenza si levarono per respingere o scuotere il giogo dei nuovi stranieri (1). Scipione distrusse ogni resistenza col ferro e col fuoco. A Illiturgo, città ricca e potente nella valle del Beti, uccise ferocissimamente armati e disarmati, uomidonne, fino ai fanciulli, e incendiò loro le

case (2).

Così furono cacciati i Cartaginesi e sottomessa la Spagna. Ma a questo non era contento Scipione e con grande ardore rivolgeva l'animo all' Affrica pensando che là doveva finirsi la guerra (3). A questo effetto studiò di tirare a sè i re di Numidia Massinissa e Siface, il primo dei quali venuto a combattere pei Cartaginesi in Ispagna, quando li vide precipitare a rovina trattò segretamente col vincitore e si volse alle fortune di Roma. Anche Siface aveva già fatti accordi con Roma, ma ma poi mutabile a seconda dei casi, si era riunito a Cartagine. Scipione considerando che questo re potentissimo porterebbe gran peso alla guerra

(1) Polibio XI, Fragm. 12, 16.

(2) Livio XXVII, 19; Appiano loc. cit. 33.
(3) Polibio XII, Fragm. 21.

dopo averlo tentato con ambascerie e con doni, si recò egli stesso a lui, andando in Affrica con due sole navi e sfidando ogni pericolo. Nella reggia del Numida trovò Asdrubale Giscone che sforzavasi di tenere il barbaro amico a Cartagine, ma egli con la destrezza e con l'eloquenza vinse la prova, e tirò Siface all'amicizia romana (1).

Compiute queste imprese, il vincitore di Spagna fondò ivi pe' suoi veterani la colonia d'Italia di cui rimangono ancora rovine magnifiche presso a Siviglia. E poi, pieno di gloria, e di alte speranze, andò a Roma navigando sopra una flotta magnificamente apparecchiata, e carica di prigioni, di armi, di spoglie, di 14 mila libbre d'argento, e di molta moneta coniata. Accolto splendidamente in città, narrò al senato e al popolo le sue imprese: vinti quattro generali e quattro eserciti, cacciati tutti i Cartaginesi di Spagna, e tolto loro il modo a trarre di là genti e pecunia. Aggiunse che bisognava compir la vittoria e cacciarli d'Italia portando la guerra in Affrica. Grande fu l'entusiasmo popolare pel giovane eroe: tutti accorrevano plaudenti a vederlo. Ai comizi fu più folla del solito, e con grande consenso lo nominarono console perchè corresse all'impresa di Affrica (2). Ma a lui erano contro quelli che ancora volevano si temporeggiasse. Il vecchio Fabio mosso da gelosia e da invidia pel giovane ardito che combatteva e vinceva con modi diversi da' suoi, parlò lungamente contro la guerra proposta. Magnificava se stesso, i suoi gran fatti, i suoi consolati, le sue dittature, e mordeva Scipione, e sgo

(1) Polibio XII, Fragm. 22; Livio XXVIII, 13, 35; Appiano loco cit. 30. (2) Livio XXVIII, 38; Appiano loc. cit. 38.

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