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mila uomini si era posto a Venusia per impedire che l'altro grande nemico muovesse da mezzogiorno (1). La destrezza del console e le necessità degli eventi impedirono che Annibale avesse modo a compiere i suoi disegni. Mentre egli correva qua e là in Lucania, nel Bruzio, e in Apulia per raccogliere in una massa tutte le sue forze e opporle al nemico che avea gagliardissimo a fronte e di dietro, i messaggi spediti da Asdrubale non riuscirono a giungere a lui. Dopo aver corso felicemente tutta la lunghezza d'Italia per paesi ignoti e nemici, alla fine presso a Taranto sbagliata la via caddero in potere dei Romani. Dalle lettere prese ad essi, Nerone sentì che il disegno dei due fratelli era di unirsi insieme nell' Umbria per marciare di là contro Roma. Allora ei concepi il grande e ardito pensiero di correre rapidamente in aiuto di Livio, e di salvare Roma battendo Asdrubale primachè si potesse unire ad Annibale. Quindi scrisse subito a Roma facessero venire una legione da Capua, e mandassero il presidio romano a guardare il passo di Narnia. Al tempo stesso mandò avvisi perchè si apparecchiassero vettovaglie, carri e cavalli su tutta la via dall' Apulia al Piceno. Poi scelti mille cavalli e seimila fanti che erano il fiore de' suoi, e lasciato un legato a governare l'esercito diede voce di partire a un'impresa in Lucania. Ma invece si volse da altra parte e quando fu abbastanza lontano da Annibale e credè di poter parlare sicuramente, svelò il segreto ai suoi prodi, disse che li conduceva a tentare un gran colpo, a vincere una grande vittoria, dalla quale dipendeva la salute di Roma. Accesi di nobile ardore proseguirono

(1) Livio XXVII, 40.

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rapidissimamente la marcia. Dappertutto erano salutati e accolti con entusiasmo. Dai paesi dei Marrucini, dei Frentani e Piceni uomini e donne dalle città e dalle ville accorrevano sulla via recando loro cibo, vesti, carri e cavalli, festeggiandoli e accompagnandoli con voti ardenti che liberassero Roma e l'Italia dai barbari (1). In sei giorni la gran marcia di circa 270 miglia fu compita, e Nerone entrò nel campo di Livio sotto le mura di Sena. Fu stabilito di combattere subito. Asdrubale accortosi che il nemico aveva avuto rinforzi, e che i due consoli gli stavano incontro, si ritirò in fuga verso il Metauro, con la mente turbata da pensieri tristissimi sulle sorti di Annibale. Errò per luoghi difficili nelle tenebre della notte, e mentre tradito e abbandonato dalle sue guide correva a ventura cercando dove passare il fiume, i consoli gli furono addosso, e fu necessità accettare la battaglia. I Romani erano così ordinati in battaglia. Livio comandava l'ala sinistra, Nerone la destra, e il pretore Porzio era al centro. Asdrubale oppose i Galli a Nerone, i Liguri al pretore, e combattè egli stesso contro Livio alla testa degli spagnoli che resisterono valentemente fino agli estremi. Mentre la battaglia era accesa da tutte le parti, Nerone non potendo avanzarsi nella sua fronte a causa dei malagevoli luoghi, girò una collina che lo separava dai Galli e dette loro addosso di fianco. Trovatili spossati dalla fatica del camminare e dalla sete e dal caldo li oppresse facilmente, e poi assalì i Cartaginesi » di dietro é li messe in disordine. Asdrubale si comportò da quel prode che era lungamente e ostinatamente fece testa al console Livio: più volte raccolse i fuggenti

(1) Livio XXVII, 45.

e rinfrancò la battaglia: poi vedendo tutto perduto non volle sopravvivere ai suoi prodi caduti, e cercando la morte si lanciò col cavallo in mezzo alle schiere nemiche e vi morì colla spada alla mano. Il suo esercito rimase distrutto. Dicono che morissero circa 56 mila uomini. Molti dei Galli furono uccisi ebbri dentro alle tende. Le spoglie del campo montarono a 300 talenti. La vittoria fu sanguinosa anche pei Romani, di cui rimasero otto mila sul campo: ma essi erano lieti di aver fatto la vendetta di Canne, e di avere rotti i di segni del grande avversario (1). E Roma dopo una trepidazione mortale, dopo non aver prestato fede ai primi annunzi come troppo lieti, esultava senza modo della grande vittoria da cui speravasi finita la guerra.

Di Nerone era la gloria principale dello stupendo fatto che salvava l'Italia (2). Egli con la medesima rapidità con cui era venuto al Metauro, in sei giorni tornò a raggiungere l'esercito in Apulia, e portò ad Annibale che le aspettava, le novelle di Asdrubale. Il console con esultanza fece mostra di prigionieri Cartaginesi davanti al suo campo e ne lasciò liberi alcuni perchè andassero a narrare la grande sconfitta al nemico. Di più una testa di uomo fu gettata nel campo cartaginese, e quando Annibale in essa ravvisò il suo

(1) Polibio XI, Fragm. 2; Livio XXVII, 49; Appiano loc. cit. 53.
(2) Orazio più tardi così cantava Nerone e la sua grande vittoria:

Quid debeas, o Roma, Neronibus,

Testis Metaurum flumen, et Hasdrubal
Devictus, et pulcher fugatis

Ille dies Latio tenebris,

Qui primus alma risit adorea,
Dirus per urbes Afer ut Italas,
Ceu flamma per taedas, vel Eurus

Per siculas equitavit undas.

OD. IV, 4.

fratello esclamò che riconosceva qui la fortuna della sua patria. Rotte le sue grandi speranze abbandonò l'Apulia e la Lucania che si dava tutta ai Romani, e si ridusse fra i Bruzi nell' angolo estremo d'Italia recando seco le genti dei luoghi a se devoti che non poteva difendere (1). Là rimase ancora quattr' anni, tenendosi sulla difensiva, mostrandosi ad ora ad ora tremendo, e non partì se non quando il grande Scipione lo forzò ad andare al soccorso di Cartagine da lui messa a pericolo.

La famiglia degli Scipioni che ora tiene luogo principalissimo nelle faccende di Roma, aveva già dato più generazioni di uomini prestantissimi. Dapprima Scipione Barbato che combattè nelle guerre del Sannio, e che l'epigrafe del suo famoso sepolcro chiama uomo forte e sapiente poi Lucio suo figlio vincitore di Corsica (2): e appresso Gneo e Publio figliuoli di questo, i quali combatterono più anni nelle Spagne con varia fortuna. Vedemmo come Publio console andava a quella provincia quando Annibale passò i Pirenei, e come mandato colà il suo fratello Gneo, tornasse a combattere il nemico ai piedi delle Alpi. Rotto poscia al Ticino e alla Trebbia andò come proconsole a raggiungere Gneo in Ispagna, e trovò che questi aveva già fatto prigioniero Annone rimasto alla guardia dei Pirenei, e ricacciati i Cartaginesi oltre l'Ebro (3). I due fratelli uniti insieme dapprima stabilirono la dominazione romana nella provincia Tarraconese, ripresero Sagunto, pene

(1) Livio XXVII, 51.

(2) Un'iscrizione che si conserva a Roma nella Biblioteca Barberini dice di lui: Hunc unum plurimi consentiunt Romae bonorum optimum fuisse virum Lucium Scipionem: filius Barbati, consul, censor, aedilis hic fuit. Hic cepit Corsicam Aleriamque urbem, dedit tempestatibus aedem merito.

(3) Polibio III, 16.

trarono nel cuore della Spagna, tirarono molte tribù all'alleanza di Roma, e respinto Asdrubale gli impedirono di venire in soccorso ad Annibale, che, come vedemmo, anche dopo la vittoria di Canne non aveva forze bastanti a sottometter l'Italia (1). Ma come ad onta delle frequenti vittorie la guerra non veniva mai a capo, i due Scipioni per impedire che i loro avversari ricevessero soccorsi dall' Affrica, tentarono Siface re di una parte di Numidia affinchè facesse colà più viva la guerra a Cartagine. Questa dal canto suo sollevò in suo aiuto il Numida Massinissa, richiamò a casa Asdrubale, e dette una forte battuta a Siface (2). Poi rimandò nelle Spagne Asdrubale gagliardo di nuovi ausiliari ed oppose colà ai Romani tre duci e tre eserciti. Gli Scipioni allora fecero un errore gravissimo che costò loro la vita. Inebbriati dalle precedenti vittorie stimarono che separando gli eserciti, moltiplicherebbero i successi: quindi si gettarono con troppa fidanza alla mischia da diverse bande, e assaliti l'uno dopo l'altro da. forze grandissime, e abbandonati dagli alleati spagnoli, furono disfatti e uccisi ambedue nell'anno 543 (3). Gli avanzi di tanta rotta furono raccolti da un prode e ardito giovane chiamato Marcio, il quale fatto cuore ai campati tenne testa al nemico, e impeditogli di cogliere tutti i frutti della vittoria dette tempo a Roma di correre alla riscossa. Pure Cartagine ricovrò tutte le contrade al mezzogiorno dell'Ebro, e i Romani appena si tenevano nei passi angusti al piede dei Pirenei (4). Poco giovò all'afflitte cose Claudio Nerone, che dopo la caduta di

(1) Livio XXII, 20; XXIII, 27, 29.

(2) Livio XXV, 48, 49; Appiano De Bello Hisp. 15.
(3) Livio XXV, 33 e seg. Appiano De Bello Hisp. 16.
(4) Appiano loc. cit. 17.

Storia antica d'Italia. Vol. II

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