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altri Italiani ribellati facilmente tornerebbero a devozione, e Annibale sarebbe ridotto agli estremi. Nel 543 fu stretto più vigorosamente l'assedio cominciato già l'anno innanzi. Era stata circondata di doppio muro e di fossi preso il Vulturno, guastate le terre dattorno, arse le semente, impedite le vettovaglie. Vi stavano a campo tre eserciti condotti dai consoli Fulvio Flacco e Appio Claudio e dal vicepretore C. Nerone. Annibale mosso dalle reiterate preghiere erasi studiato di darle soccorso, ma con poco profitto, e le vettovaglie già spedite da lui dal paese dei Bruzi, per la lentezza dei Capuani erano cadute in mano ai nemici (1). Poi era venuto egli stesso per discioglier l'assedio, e dopo tentata guerra di diversione, correndo rapidamente da una provincia in un'altra, dopo vani assalti dati alle fortificazioni degli assedianti, tentò di tirarli via da Capua facendo un grande e inaspettato colpo su Roma (2). Ad un tratto egli scomparve dietro ai monti Tifati, e con corsa quanto poteva più rapida, mettendo a guasto e rovina i luoghi sulla sua via, dopo pochi giorni fu veduto accamparsi sull' Aniene a tre miglia dal Campidoglio, e avanzarsi fino sotto alla porta Collina, e spiare le mura e il sito della città, e lanciarvi dentro come a sfida i suoi dardi (3). Gli abitatori delle campagne fuggivano spaventati al suo apparire. In città grande fu dapprima il terrore, ma la virtù del popolo romano rimanendo ferma e salda ris torava ogni rovina. Il senato provvedeva a tutto con maravigliosa fortezza. Rese il comando a tutti quelli che erano stati già magistrati, e li distribuì per varii quartieri affinchè da

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(2) Polibio IX, Fragm. 2; Livio XXVI, 6, 7.

(3) Livio XXVI, 10; Appiano loc. cit. 38; Plinio XXXIV, 15.

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ogni parte vi fosse chi provvedesse alla salute pubblica e i tumulti acquietasse. Posti presidii sul Campidoglio e alle porte, guardato ogni luogo. Vi erano molte milizie di nuova leva: tutti correvano alle armi, i vecchi salivano le mura, le donné stesse e i fanciulli portavano sassi e strali da lanciare contro i barbari (1). Vennero duemila uomini in aiuto da Alba: venne con un rinforzo Fulvio dal campo lasciando colà i suoi colleghi. Per le quali cose Roma ebbe tanta fidanza di sè che con questo nemico alle porte mandava rinforzi in Ispagna, e vendeva i campi ov'erano attendati i Cartaginesi a pregio non minore che se fosse stato in tempo di calma profonda (2). E Annibale perdè ogni speranza e contemplate le terribili mura a cui da tanto tempo aveva rivolto l'ardente pensiero fu costretto a ritirarsi senza niuno effetto. Dopo un vano rumore partiva lasciando ai Romani il vanto di averlo fugato (3); e per l'Apulia si recava nell' estremo angolo del Bruzio che era il suo luogo più forte d'Italia, e là invano sforzavasi di prendere Reggio (4). Fulvio seguitolo un pezzo da lungi, e sventatene le insidie (5), si riuniva alle legioni rimaste all'assedio di Capua, la quale vinta dalla fame e dalla penuria di tutto toccava oramai alle sue ore estreme.

I difensori scrissero ad Annibale lettere piene d'ira e di rampogne pel suo abbandono. I cittadini più no

(1) Appiano loc. cit. 39.

(2) Livio XXVI, 11.

(3) In memoria di ciò inalzarono un tempio al Dio Redicolo fuori della porta Capena. Rediculi fanum extra portam Capenam Cornificius ait fuisse: qui Rediculus propterea appellatus est, quia accedens ad urbem Hannibal, ex eo loco redierit quibusdam visis perterritus. Festo.

(4) Polibio loc. cit.

(5) Appiano loc. cit. 42.

bili si stavano rinchiusi per le case aspettando la dolorosa rovina. I senatori furono costretti dalle minaccie del popolo ad adunarsi per consultare sul partito da prendere. Alcuno propose di mandare oratori al nemico per offrirgli di arrendersi, sperandolo clemente a tanta sciagura. Altri invece pensarono non potersi fuggire i crudeli tormenti e il vitupero e il tristo spettacolo della patria distrutta, se non dandosi morte di propria mano. In questa sentenza orò lungamente Vibio Virio stato guidatore alla ribellione e poscia si ridusse in sua casa a banchetto con 27 senatori che seguirono il suo consiglio per non cader vivi nelle mani del vincitore. Mangiarono e bevvero lautamente, poi presero veleno, e, abbracciandosi e piangendo i casi infelici della patria, morirono (1). Gli altri mandarono oratori e aprirono le porte al nemico, il quale entrò con animo spirante vendetta e furore. Tolse ad ognuno le armi, incatenò i senatori e gli uccise dopo averli spogliati di ogni aver loro, cacciò dalla città e dal contado tutti quelli che avevano combattuto, empì le prigioni di gente e l'Italia di esilii, vendè la moltitudine, confiscò le terre, rapì le statue, e tutti gli ornamenti della città alla quale, spogliata di suoi magistrati e sue leggi, venne un prefetto da Roma. I vinti dovettero accettare queste sorti comecchè incomportabili. Alcuni solamente protestarono, e Giubellio Taurea morì con animo invitto uccidendosi da se stesso dopo avere con parole fierissime rimproverato a Fulvio le sue crudeltà. Altri cercarono vendetta cospirando di uccidere colle fiamme i soldati, e altri furono accusati in Roma di aver messo fuoco negli edificii del fôro. Quindi nuovi sup

(1) Livio XXVI, 14.

plizi. Invano furono mosse preci e querele al senato che approvò quanto era stato fatto da Fulvio, fierissimo carnefice di Capua, e aggravò con altri provvedimenti le miserie dei vinti. A due donne solamente fu avuto riguardo. Una meretrice che nel tempo dell'assedio ogni giorno faceva sacrificii per la vittoria di Roma, e un'altra donna che di nascosto dava alimenti ai prigioni furono dichiarate benemerite della patria, e riebbero i loro beni e la libertà (1). Avrebbero anche distrutto gli edificii della città se non tornava utile lasciarli come riparo ai servi destinati a coltivare per Roma i fertilissimi campi dattorno. E ridotte le cose a questi termini, i feroci vincitori, dopo avere anche insultato in tutti i modi alla memoria dei vinti che avevano osato di volere libertà, dettero a se stessi il vanto di aver fuggito l'infamia di uomini crudeli (2) come se la crudeltà stesse nel rovinare le case più che nello spegnere gli uomini e nel rubare loro gli averi. Essi gloriaronsi di avere accomodato le cose di Capua con consiglio da ogni lato lodevole (3).

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Anche Atella e Calazia rendutesi videro uccisi i cittadini più ragguardevoli, e i loro averi confiscati. Gran parte della bella Campania fu ridotta a termini miserissimi. Nuceria e Acerra erano quasi disfatte pei travagli patiti, nè eravi più luogo ad abitare. Ad alcuni fu permesso di rifarsi le case, ad altri ordinato che andassero a stanziarsi per le vicine città (4).

(1) Livio XXVI, 14, 15, 16, 27, 33, 34; XXVII, 3.

(2) Illam Campanam arrogantiam atque intolerandam ferociam ratione et consilio majores nostri ad ineptissimum et desidiosissimum otium perduxerunt. Sic et crudelitatis infamiam effugerunt, quod urbem ex Italia pulcherrimam non sustulerunt ec. Cicerone De leg. agrar. II, 33. Vedi anche 32 e 34.

(3) Consilio ab omni parte laudabili. Livio XXVI, 16.
(4) Livio XXVII, 3.

Colla caduta di Capua parevano decise le sorti della lunga guerra. I terribili eventi incoraggiavano a fedeltà gli alleati di Roma, e atterrivano i nemici. Pure il leone cartaginese non perdeva la sua usata energia, e mandava ancora ruggiti tremendi e spargeva per l'Italia la desolazione e la morte. Annibale teneva, come sembra, pratiche per levare.a rumore l'Etruria (1), e delle sue perdite si consolava colle buone novelle che gli venivano di Spagna ove i suoi fratelli avevano vinti e uccisi i due Scipioni. Per il che sperava che Asdrubale apertasi finalmente la via verrebbe a raggiungerlo in Italia con potente soccorso.

Dall'altra parte Roma comecchè vincitrice in Sicilia e a Capua si trovava abbattuta dai lunghi e grandissimi sforzi. Le scorrerie cartaginesi avevano desolato anche le contrade campate in prima dai loro furori. Le terre stesse delle 35 tribù e i contorni della città messi a preda e a rovina: perduti gli schiavi, e i bestiami, spogliate e rovinate le case, distrutte le semente, rimasti incoltivati i terreni. Roma sentiva la fame e il grano si vendeva carissimo (2). I tributi già posti grossissimi non bastavano più a mantenere tanti eserciti e tante navi per l'Italia e per le provincie. Bisognava fare al popolo nuove domande: ma esso levava alti lamenti e grida quasi di sedizione. Allora venne al console Valerio Levino un alto e generoso pensiero. Disse che quelli i quali avevano più onore dalla Repubblica, dovevano portarne anche i pesi più grandi: perciò proponeva che ogni senatore e ogni magistrato per dare al popolo un nobile esempio of

(1) Livio XXVI, 28; XXVII, 7.

(2) Livio XXVI, 26, 35; XXVIII, 11; Polibio IX, Fragm. 18.

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