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con iscopo politico di dominare le elezioni, e altre con pretesto di guerra, ma in fatti col medesimo fine (1). Frequenti furono gl' Interré che alle elezioni non `ammettevano se non i suffragi pei candidati patrizi. La città stette a lungo in ansietà e in agitazione violenta. Furono usati tutti i modi più iniqui e più frodolenti : e l'oligarchia patrizia dopo avere impudentemente violate le leggi da essa accettate, dopo avere cogl' intrighi e colla forza brutale ottenuto più volte che i consoli si tornassero a creare ambedue del loro ordine, per ischerno invocarono a loro sostegno le dodicí tavole che statuivano, l'ultima disposizione del popolo essere legge suprema e annullare tutte le leggi anteriori (2).

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Ma ad onta di queste male arti, il diritto era riserbato ad aver sempre la vittoria finale. Gli ordinamenti di Licinio Stolone furono nella massima parte applicati, e dettero occasione ad altre leggi che posero fine alla lotta politica. La legge sul consolato comune ai due ordini fu dopo qualche anno definitivamente eseguita, e coll' aiuto di altri provvedimenti portò la Repubblica a quel temperamento di popolarità e di aristocrazia, a quel governo misto di elementi diversi che Polibio e Cicerone ammirarono tanto (3). Fu osservata anche la legge agraria che limitava il possesso a cinquecento jugeri; e la troviamo

(1) Livio VII, 3, 6, 9, 17, 19, 21, 22, 24, 26, 27, 39, 40; Fasti Capitolini.

(2) In secundo interregno ortu contentio est, quod duo patricii consules creabantur; intercedentibusque tribunis, interrex Fabius aiebat, in duodecim tabulis legem esse, ut quodcumque postremum populus jussistet, id jus ratumque esset jussum populi et suffragia esse. Livio VII, 17. (3) Polibio VI, fragm. 4; Cicerone De Rep. passim.

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in vigore anche due secoli dopo (1). Certo non mancarono le frodi, nè l'avidità dei ricchi che posero ogni studio ad eluderla. Lo stesso Licinio Stolone autore di essa tentò di dare il tristo esempio di trapassarma la punizione di lui, e le sentenze contro altri violatori (2) provano che la legge era eseguita e che i beneficii di essa poterono rimediare ai mali presenti e impedire allora che si unissero in mano di pochi le grandi fortune, le quali poi furono causa della schiavitù e della rovina d'Italia.

All' usura e ai debiti era stato posto un alleviamento, ma il male durava, perchè l'interesse del denaro non era stato abbassato. La necessità di nuovi imprestiti portò nuove persecuzioni degli usurieri e nuove miserie. Onde nell' anno 398 i tribuni Marco Duilio e Lucio Menenio, con gran dispiacere dei patrizi fecero passare una legge che sul frutto dei capitali rimetteva in vigore la disposizione delle dodici tavole, che forse era caduta in disuso o era stata abrogata (3). Ma poichè i poveri sempre erano oppressi dai debiti e stretti in catene, si fece un altro provvedimento. Fu commesso a cinque uomini di tenere a nome del governo una banca nel fôro e di prestare a piccolissimo interesse il denaro pubblico, affinchè ognuno avesse comodità a rimettere i debiti. Costoro posero giusta stima alle cose che si potevano dare invece del denaro avuto a prestanza, usarono equità

(1) Vedi Catone citato da Gellio VII, 3.

(2) Livio VII, 16; X, 13, 23, 47; XXXIII, 43; XXXV, 10; Valerio Massimo VIII, 6. 3.

(3) Rogatio de unciario foenore. Livio VII, 16. Il foenus unciarium, che altri intesero per l'un per cento al mese, altri l'un per cento all'anno, e altri il cento per cento, dal Niebhur fu creduto esser un interesse equivalente al dodicesimo del capitale.

Storia antica d'Italia. Vol. II.

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e diligenza, e senza fare ingiuria nè ai debitori, nè ai creditori, una gran parte dei debiti levarono via (1). Nè i miglioramenti rimasero qui: cinque anni più tardi l'interesse del denaro fu ridotto alla metà di quello fissato dai tribuni Duilio e Menenio, e fu stabilito che la quarta parte del debito si avesse a pagare di presente, e il resto in tre anni (2). Pure non cessavano i lamenti contro i modi crudeli degli usurieri, e coll' andar del tempo le cose procederono a tale, che dopo la prima guerra del Sannio i soldati rivoltatisi a Capua marciavano contro Roma, e, ad essi unenendosi poi il popolo rimasto in città, l'affare sembrò di tal gravità che per ridurre gli agitati animi a pace e a concordia si venne alla intera abolizione delle usure e dei debiti (3). Si fecero altri ordinamenti economici e politici per assicurare a tutti la vita e la libertà; fu stabilito che il soldato non potesse mai contro sua voglia essere levato dai ruoli della milizia, la quale gli era asilo sicuro contro le persecuzioni dei creditori: fu ordinato che quelli, stati tribuni militari non potessero essere abbassati al grado di centurione: fu provveduto che i pubblici onori non divenissero patrimonio ereditario di qualche famiglia, vietando che niuno avesse due magistrature al tempo stesso; e che avanti dieci anni fosse rieletto alla medesima carica (4). Fu stanziato anche che ambedue i consoli potessero essere plebei: e poco appresso (415 di Roma) il Dittatore Publilio Filone ordinò (5) che i plebisciti fossero leggi per tutti,

(1) Livio VII, 21.

(2) Livio VII, 27.

(3) Livio VII, 42; Appiano Samnit. 1, 2 e De Bell. Civis I, 54; Tacito Ann. VI, 16; Aurelio Vittore De Viris illustr. 29.

(4) Livio VII, 41, 42.

(5) Livio VIII, 12.

e tolse alle assemblee patrizie delle curie ogni potestà legislativa la quale d'ora in poi stette solamente nelle centurie, nelle tribù e nel senato. Finalmente (429) anche le crudelissime disposizioni delle dodici tavole contro il debitore insolvente furono annullate (1).

Il popolo conquistò ad una ad una tutte le dignità dello stato e dopo lunga lotta giunse all'eguaglianza politica. Subito dopo l'adozione delle leggi Licinie ebbe l'edilità curule a comune coi suoi avversarii (2). Nel 398 ebbe la dittatura (3), e nella prima metà del

(1) « In quell'anno fu fatto come un altro principio di libertà alla plebe romana, perocchè non si seguitò più oltre di legare i plebei e consegnarli a'loro creditori, e mutossi il costume antico per la libidine e notevole crudeltà insieme di un usuraio. Costui fu Lucio Papirio al quale Gaio Publio avendo consegnato prigione se stesso per debito del padre, quell' età giovanile quella bellezza che muover lo potevano a compassione e misericordia gli accesero l'animo a libidine e villania. Onde parendogli che il fiore dell'età del giovanetto gli fosse un frutto di avvantaggio sopra al suo credito, primieramente si sforzò di allettarlo con parole impudiche: poscia avendo le orecchie di esso in orrore cotale scelleratezza, cominciò colle minaccie a spaventarlo, ricordandogli insieme la condizione della sua fortuna. Ultimamente vedendo ch'egli si ricordava più presto della generosità dell' animo suo, che della presente condizione, comandò ch'ei fosse spogliato e battuto: dalle quali battiture essendo il giovinetto tutto guasto e lacero ed essendosi fuggito fuora gridando e dolendosi della libidine e crudeltà dell'usuraio, una gran moltitudine di uomini, infiammata per compassione dell'età e per l'indegnità e sozzura dell'ingiuria, ed appresso per la considerazione e rispetto de propri figliuoli, concorse in piazza e quindi unitamente alla curia. E ragunando i consoli subitamente il senato, mostrarono le spalle del giovane lacerate e guaste dalle battiture: e certo per la superba ingiuria e soverchieria di un solo fu vinto quel dì il grande e potente vincolo della fede in maniera che fu commesso a' consoli, : che proponessero al popolo, che nessuno fosse più tenuto in ferri o ceppi, se non chi lo meritasse per qualche sua colpa, sino a tanto che ei sodisfacesse alla pena. E fu statuito per legge, che alla pecunia creduta fossero obbligati i beni del creditore e non più la persona, e così furono sciolti tutti i prigioni ed incatenati e fu provveduto che più non si legassero ». Livio VIII, 28, trad. di Jacopo Nardi.

(2) Livio VII, 1, 5, 6.

(3) Livio VII, 17.

secolo appresso giunse alla censura, alla pretura, ai sacerdozi (454) e all'abolizione del veto patrizio degli auguri (1), e nelle sue assemblee creò molti dei tribuni militari, e i duumviri per armare e ristorare le navi (2).

E così per questi ed altri consimili provvedimenti che portavano alle ultime conseguenze le leggi di Licinio Stolone, la libertà era assicurata, gli onori erano premio non più alla nobiltà del sangue ma alla virtù : quindi le discordie intestine cessavano, nasceva un prospero e grande stato, cominciava il secolo d'oro della virtù e dell' eroismo romano: scomparsa quasi la distinzione di patrizi e plebei, Roma unita e rafforzata di dentro poteva volgersi con sicuro passo alla conquista e al governo d'Italia e del mondo. Per quattro secoli, ad onta delle interminabili guerre e delle innumerabili vittorie, essa si era spinta di poco al di fuori delle sue mura. Ora l'ampliare si fa molto rapidamente, perchè l'unione degli ordini e la prosperità dei più non disperde le forze in lotte di privati per privati interessi, perchè le leggi agrarie moltiplicando i possessori fanno un prode soldato d'ogni libero coltivatore dei campi, perchè ognuno è superbo del nome di cittadino romano che non è più un vano titolo, e adopera tutte le forze per renderlo grande e temuto. D'ora in poi per un secolo e mezzo vi è progresso senza scosse violente, e virtù pubbliche e private fanno bella questa nuova vita civile. Sorge numero grande di uomini chiari per altezza di animo, per famose imprese di guerra, per frugale e semplice vita, per se

(1) Livio VII, 22; VIII, 15; X, 6.

(2) Livio IX, 30.

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