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nella vigorosa sua gioventù. I corpi disposti ben da natura erano fatti più poderosi dai forti esercizi. Erano gente di ferro e di valore armata, che colla forte mano difendevano la patria, e la governavano colla provida mente. Continuava la concordia o era sempre pronta a rinascere quando il pericolo comune si avvicinava. Non vi era più nobiltà di nascita coi suoi privilegi, e la nobiltà di fortuna non era ancora in onore: nè cercavansi con turpi arti le grandi ricchezze e le sontuose delizie. Se vi erano uomini che mala cupidigia allettasse ad uscire di via, li vituperava la pubblica opinione per la quale rimaneva sacrosanto il culto della patria e della virtù. Le quali cose unite agli ordini buoni della città fanno sì che in faccia alle difficoltà e alle cattive fortune non manchino d' animo mai.

Pieni di coraggio, e cupidi di gloria muovono ora ad imprese novelle che faranno piangere le madri su tutta la terra insanguinata, rubata e desolata da essi con universale rovina, ma saranno cagione del rinnovamento del mondo, perchè dopo le grandi calamità della guerra porteranno la fiaccola della civiltà in tutti i paesi ove giunge il loro dominio. Tutte le possenti forze d'Italia stanno ora in lor mano, ed essi le governano fortemente e le spingono a correre trionfalmente la terra. Essi vinceranno per la forza del senno e per quella fermezza ammirabile di cui non si trovano altrove gli esempi. A ciò uniranno poscia avarizie crudeli e tradimenti e perfidie, e a tutti i futuri despoti daranno esempio di ogni più feroce tirannide. Saranno ladroni del mondo, e, fatti ricchi e grandi per l'altrui impoverire, getteranno anche l' insulto sui vinti vantandosi di comandare perchè più

virtuosi di tutti (1). Net superbo linguaggio di Roma i vinti si reputano a gloria il servire (2), e gli stessi Dei forestieri si tengono onorati della romana cittadinanza (3).

(1) Livio XXII, 13.

(2) Cicerone Pro lege Manilia 14.

(3) La gran madre degli Dei dice ad Attalo re di Frigia che non vuol concedere che si porti a Roma:

Ipsa peti volui: ne sit mora: mitte volentem.

Dignus Roma locus quo Deus omnis eat.

Ovidio, Fast. IV, 269.

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LIBRO QUARTO

ROMA E L'ITALIA

ALLA CONQUISTA DEL MONDO

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