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grazie compì il sacrifizio e piantò colle sue mani il trofeo nel tempio (1).

Dopo queste vittorie, scrive lo storico degli antichi Italiani, << tutte le pianure adiacenti al Po, eccettuati alcuni luoghi posti alle radici delle Alpi, riconoscevano indubitatamente il dominio di Roma nei quattro anni che precedettero la seconda guerra cartaginese. Nel numero delle provincie allora soggette son da noverarsi il paese de' Cenomani e la Venezia, quantunque sia affatto ignoto il modo con cui vennero sotto la protezione dei Romani dopo la disfatta degli Insubri. Vuole il Maffei (2) che i Veneti, sommessi con volontaria dedizione, e per amore obbedienti, fossero trattati con più moderazione e piacevolezza degli altri popoli, e che in conseguenza, esenti dalla giurisdizione ordinaria del pretore, ottenessero i privilegi de' soci italici ma sì speciosa opinione non è poco impugnata dalla difficoltà di credere, che un corpo si potente consentisse mai per elezione di passare in potestà altrui (3). Comunque si sia però, è fuor di dubbio che la Venezia fin da quel tempo acquistò il nome di Gallia, come dipoi la Carnia, prossima all'Istria, e per ragion di governo incorporata alla Gallia Cisalpina, che alla fine divenne interamente romana. L'idioma del Lazio par che molto presto vi allignasse, perocchè a' giorni di Cicerone quasi dimenticate erano le antiche lingue, e la latina vi era fatta comune, benchè non così culta come si parlava in Roma (4). Anco la denominazione di Togata, che abbracciò non solo la

(1) Plutarco, Marcello; Eutropio III, 2.

(2) Verona illustrata III, pag. 42-46.

(3) Vedi Filiasi, Saggio sopra i Veneti primi tom. I, pag. 328.
(4) Maffei, Verona illustrata III, pag. 55.

provincia gallica cisalpina, ma la transpadana ancora (1), accenna l'uso del vestir romano ivi introdotto, e con esso la propagazione di nuove maniere, usanze e costumi. A questo modo quasi l'intera penisola, ridotta sotto la stessa forma di viver politico, riconosceva dalle Alpi allo stretto siciliano l'imperio di Roma >> (2).

(1) Cellario II, 9. Vero è che il nome di Togata s'introdusse solamente dopochè la Gallia fu onorata della cittadinanza romana. (2) Micali par. II, cap. 14.

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CAPITOLO V.

L'Italia dopo la conquista. Arti di Roma per tenerla soggetta. Varietà di diritti e governi. La cittadinanza romana, e il diritto del Lazio. Municipii, colonie, prefetture, città libere e federate. Carichi dei vinti in Italia e nelle provincie. La costituzione romana. Uomini cospicui in guerra e in pace. Opere pubbliche per l'Italia e in Roma. Religione e costumi.

Dopo cinque secoli di sforzi lunghi e costanti, l'Italia con le sue grandi isole era stata sottomessa all'impero della grande città. Gl' Italiani più amanti di loro indipendenza avevano fatto eroica difesa ed erano caduti a migliaia. Molte delle loro città arse e rovinate, le terre guaste in gran parte e fatte preda dei vincitori e vendute o distribuite ai cittadini romani i quali ora in 35 tribù occupavano i luoghi intorno a Roma stati già degli Etruschi, dei Sabini, dei Latini, dei Volsci e degli Equi (1). Ma come le popolazioni antiche non erano tutte perite, era da temere che le più ardenti sospirassero ancora alla cara libertà e stessero preparate a cogliere il destro di respingere il giogo imposto loro dalla forza. Quindi Roma metteva in opera tutte sue forze e sue arti per impedire che i vinti si sollevassero di nuovo: e come mirabil

(1) Le ultime due tribù, la Velina e la Quirina furono stabilite nel paese dei Sabini dopo la prima guerra punica. Livio Epitome XIX..

mente aveva perdurato per ottenere la vittoria, ora tutta la sua sapienza volgeva a mantener la conquista. E molte cose in ciò l'aiutavano. Gli aristocrati dei varii paesi erano strumento non piccolo di sua potenza, perocchè dopo averla aiutata a vincere le loro patrie, l'aiutavano a mantenervi l'impero, sperando di divenire potenti all'ombra di Roma. Gli aristocrati italiani a quel tempo per amore di dominio vendevano la patria e si facevano servi (1). Da un altro canto, dopo tanti travagli, i popoli si trovavano stanchi, e non avendo modo a riconquistare loro indipendenza accettavano per necessità la vittoria nemica che, non foss'altro, faceva cessare la guerra interna, e con essa le devastazioni dei campi, le arsioni e le stragi e le schiavitù. Quindi anche i popoli più ardenti nell'odio quietavano, e li vedremo non levarsi concordi quando verrà il destro d' insorgere (2). Nè solo lo spossamento era d'impedimento alle rivolte. Roma colla sua potenza e coi suoi artificii creava nuovi e più durevoli ostacoli, alcuni dei vinti legando a sè coi beneficii e colle speranze di migliore avvenire, altri governando colle minaccie e colla paura, e studiandosi di mettere la divisione fra tutti, perchè tutti fossero servi e niuno avesse nè modo nè voglia a tentar novità. Roma non vedeva altri che sè voleva che gli uomini italiani esistessero perchè intendeva usarli a sua maggior grandezza: ma non voleva che esistesse Italia nè popoli italici. Perciò non volle assemblee in cui le varie genti potessero intendersi, non matrimonii, non relazioni fra molte di esse. Alle nazioni d'un tempo

(1) Vedi Livio VIII, 11, IX, 25; X, 18; XXII, 25; XXIII, 15; XXIV, 2; XLII, 30.

(2) Livio XXII, 24 e 61.

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