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fitte, e mandavano in Apulia il prode Fabrizio il quale dêtte al nemico una nuova lezione mostrandogli che i forti fanno la guerra con animo generoso e sdegnano le arti dei traditori. Dicono che il medico o altro confidente di Pirro offrisse a Fabrizio di ucciderlo, e che questi indignato alla brutta proposta denunziò il traditore al re (1), il quale tocco dal magnanimo atto rimandò a Roma tutti i prigionieri e fece nuove domande di amicizia e di pace. Roma, continuando a infestargli le città collegate, gl'intimò di nuovo che partisse d'Italia (2) e alla pace non volle assentire. Pure sembra si concludesse una tregua (3) la quale fece a lui abilità di aderire alle preghiere dei Siciliani che lo chiamavano a liberare l'isola dai Cartaginesi e dall' anarchia in cui l'avevano posta i nuovi tiranni sorti in ogni città. Colà egli avea pretensioni pel suo parentado con la casa di Agatocle di cui aveva sposato la figlia Lanassa e sperandovi venture migliori partì, posto un presidio addosso a Taranto e lasciato al governo di Av. G. C. Locri il suo figlio Alessandro (4). Sbarcò a Tauromenio con gli elefanti e con tutto il suo apparecchio di guerra. Catania e Siracusa lo accolsero con grande esultanza: Leontini gli pose in mano tutte le forze: Agrigento cacciò il presidio Cartaginese e quasi tutte le città si dettero a lui. Onde avuto modo a raccogliere un'oste assai numerosa mosse contro i Cartaginesi per cacciarli dall'isola, e prese loro parecchie città (5). A Erice forte di sito e gagliardamente difesa salì il

An. di Roma 476.

278.

(1) Plutarco loc. cit.; Frontino Stratag. IV, 4, 2.

(2) Zonara VIII, 5.

(3) Appiano De Reb. Samnit., Fragm. XI.

(4) Giustino XVIII, 2; Appiano loc. cit.

(5) Diodoro Fragm. XXII, 7, 8, 10; Giustino XXIII, 3. Plutarco loc. cit.

primo all'assalto e fece stupende prove. La sola Lilibeo resistè duramente: non giovarono a nulla i ripetuti assalti, e dopo due mesi di vani sforzi bisognò abbandonare l'impresa. Allora Pirro volle fare come Agatocle: cacciare i Cartaginesi di Sicilia portando la guerra nell'Affrica. Ma non avendo i remiganti necessarii a fornirne le navi, e i Siciliani non rispondendo al suo appello ei credè di poterla fare da padrone: e li trattò da crudo tiranno uccidendo e spogliando (1). Perlochè si accesero contro lui gli animi tutti, e levandosi a furore le città, la fortuna del venturiere da ogni parte rapidamente cadeva come era rapidamente montata. Gran voglia di partire gli accese subito l'animo, e l'appello degl' Italiani gli dêtte modo a chiamare con nome più onesto la fuga.

In questo mezzo Roma aveva proseguito con ardore la guerra contro i collegati d'Italia, e fatti nuovi progressi. Eraclea, colonia di Taranto, era venuta agli accordi (2): era stata presa Crotone, e da Locri cacciato il presidio nemico. Parecchie vittorie i consoli avevano avute sui Salentini, sui Lucani e sui Bruzi. I Sanniti erano stati costretti a ritirarsi colle famiglie e con ogni loro proprietà nelle selve e sui monti. Onde tutti chiesero a Pirro che si affrettasse al loro soccorso. Egli partì carico delle spoglie dell'isola, che perdè nello stretto ove una flotta cartaginese gli sommerse settanta navi. Approdato tra Reggio e Locri, e patito travaglio grande dai Mamertini che scendevano numerosi dai monti, prese Locri e rubò il tempio di Pro

(1) Plutarco loc. cit.; Appiano loc. cit.; Zonara VIII, 6; Suida alla voce Πύῤῥος.

(2) Cicerone pro Balbo 22.

serpina, e giunse a Taranto con un esercito di barbari mercenarii (1).

An. di

Av. G. C.

276.

Roma fu costernata di questo ritorno. Tristi augurii accrebbero lo sgomento a tale che niuno voleva prendere le armi, e fu mestieri vendere i beni ai recalcitranti (2). Alla fine furono levati due eserciti, e condotti uno nel Sannio da Curio Dentato e l'altro in Lucania da Cornelio Lentulo. Pirro accorse col disegno Roma 478. d'impedire che si riunissero e di battergli l'uno alla volta. Mandò una parte de' suoi contro Lentulo, e col grosso dell'esercito marciò egli stesso contro Dentato che tenevasi in forte sito sulle alture di Benevento. Invano fece prova di sorprenderlo di notte nelle trincee: il tentativo fallito fu causa di sua rovina. Anche gli elefanti, che cominciavano a non far più paura, qui furono cagione di disordine e di perdita a Pirro: perocchè punti dai Romani col ferro e col fuoco e cacciati in fuga messero in pieno scompiglio le ordinanze del re. Egli patì una grande disfatta, perdè il campo, otto elefanti, e molti uomini uccisi o prigioni. Al tempo stesso Lentulo vinceva in Lucania. Curio Dentato menò della vittoria un solenne trionfo conducendo dietro al suo carro Molossi, Tessali, Macedoni, Appuli, Bruzi, Lucani, Sanniti, e quei famosi elefanti, causa dapprima di tanto terrore e ora di piacere e di maraviglia al popolo romano che per la prima volta vedeva i mostruosi animali (3).

(1) Plutarco, Pirro ; Livio XXIX, 18; Appiano loc. cit.; Valerio Massimo I, 2,

7.

(2) Cicerone De Divinat. I, 10; Livio Epitome XIV; Valerio Massimo VI, 3, 4.

(3) Plutarco loc. cit.; Floro I, 18; Dionisio Excerpt. XIX, 14; Frontino IV, 1, 14. Zonara VIII, 6.

Pirro si ricoverò a Taranto e poco appresso, fatta vana mostra di cercare nuovi aiuti in Macedonia e in Siria, partì lasciando nella fortezza Milone con un presidio. Questa impresa del re venturiere finì come tutte le altre sue: partiva d'Italia dopo avere speso sei anni in vane fatiche, e aver perduto le illusioni sulle grandi conquiste dell' occidente. Non perciò si tenne quieto nell' Epiro: andò per la Grecia in cerca di nuove avventure, finchè all' assalto di Argo cadde per mano di una vecchia donna che gli gettò un tegolo sulla testa (1).

I popoli dell' Italia meridionale allora caddero dalle folli speranze riposte negli aiuti stranieri, e sentirono che la libertà finiva per essi. Tutti in breve provarono con modi diversi il giogo di Roma. Ma non posero giù subito le armi: la più parte pugnarono fino agli estremi, e, altro non potendo, salvarono l'onore dei prodi. I Sanniti, i Lucani e i Bruzi si ripararono dapprima sui monti e poi vennero in campo aperto contro il nemico, e furono vinti definitivamente dai consoli Spurio Carvilio e Papirio Cursore. I Bruzi cederono la metà della Sila: i Sanniti dettero ostaggi, e un Lollio che era del numero, poco appresso fuggitosi da Roma fu al punto di ridestare per tutto il Sannio un grande incendio di guerra (2).

Fra tante prove di valore, codarda fu la caduta di Taranto come doveva aspettarsi da un popolo pasciuto di lussuria e di ozio. Niuno si levò con arme alla difesa della patria morente. Tremanti di perdere

(1) Plutarco loc. cit.

(2) Livio Epitome XIV; Dionisio Excerpt. XIX; Zonara VIII, 7; Fasti capitolini.

la libertà, e non sapendo fare niun atto che buono fosse a salvarla implorarono soccorso dai Cartaginesi che dalle acque di Sicilia mandarono le loro navi. La città bloccata da essi per mare e assediata dal consóle Papirio dalla parte di terra aveva per giunta sul collo il presidio lasciato da Pirro nella fortezza e viveva in paura sediziosa. Finalmente fu data a Milone facoltà di trattare col console: ed ei trattò solo per sè, e partì con suoi soldati e tesori alla volta dell' Epiro lasciando la fortezza e la città in preda al nemico. Papirio intimò ai Cartaginesi di partire, e, allontanatisi essi, prese possesso della città che dichiarò tributaria di Roma, le tolse le armi e la flotta e le distrusse le mura. Poi fu detto che se le rilasciava la libertà. Furono portate via le belle pitture, le statue e i ricchi ornamenti dei templi. L'oro, la porpora, e tutte le delizie tarentine fecero splendido il trionfo del vincitore (1).

La caduta di Taranto fu seguìta subito da quella di Reggio rimasta finquì in potere della legione campana ribelle che ne avea fatto crudo scempio. Essa chiamò in soccorso i fieri Mamertini stabiliti in simile modo a Messina. Fu duro a domare quei disperati ribaldi: ma dopo lungo contrasto il console Genucio li vinse. I legionarii furono puniti di morte: e la città rimase confederata ai Romani e riebbe gli antichi suoi abitanti (2).

An. di Roma 482.

272.

An. di

Poscia le armi romane si volsero contro i Salentini e Messapii che avevano preso parte come gli altri Roma 486. alla guerra di Pirro, e che gagliardamente sostennero

Av. G. C. 267.

(1) Livio Epitome XV; Floro I, 18; Zonara VIII, 6.
(2) Polibio I, 1; Zonara loc. cit.

Storia antica d'Italia. Vol. II.

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