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sopraintese ai privati lavori. Ognuno ebbe libertà di fabbricare dove e come gli piacque Gli edificii da ogni parte si elevarono rapidamente, e in un anno Roma era risorta: ma nella fretta non badandosi all' armonia delle parti, le nuove costruzioni furono irregolari, le strade riuscirono anguste, e la città rinacque non bella nè comoda (1).

Fra le rovine fu ricercato ciò che non avevano distrutto le fiamme. Si ritrovarono le antiche leggi e si esposero nel fôro sopprimendo quelle che riguardavano le cose di religione per tenere col mistero il popolo più facilmente soggetto all'impero dei sacerdoti (2).

Nell'ultima sventura il numero dei cittadini erasi grandemente diminuito: molti erano periti (3), molti fatti schiavi dei barbari. Per riparare a queste perdite dettero diritto di cittadinanza ai Capenati, Veienti e Falisci che tre anni dopo (368 di Roma) furono riuniti nelle nuove tribù Stellatina, Tromentina, Sabatina e Arniense (4), e dettero a Roma nuova forza contro i nuovi pericoli.

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Già gli antichi alleati e tutte le genti vicine, cendo loro pro delle sciagure e della debolezza di essa se le mostravano da ogni parte nemici. Gli Etruschi insorgevano sulla riva destra del Tevere : mentre dall' altro lato alcune città dei Latini e degli Ernici rompevano gli antichi trattati e secondavano i moti dei Volsci e degli Equi. Come dopo la vittoria di Porsena la Roma antica aveva perduto tutte le sue antiche conquiste, ora la giovine Roma si trovava

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ai medesimi termini dopo l' invasione dei barbari. La vittoria dei Galli avea scosso la dominazione romana su tutti i luoghi all'intorno: e ad eccezione dei Sabini tutti i popoli cercavano loro indipendenza colle armi.

La gloria massima della repressione di questi moti è data a Cammillo. Egli è uomo unico in ogni fortuna egli primo in pace e in guerra avanti e dopo l'esilio egli per lungo tempo è braccio e consiglio dell'afflitta città: governa tutte le cose, è anima a tutte le imprese, dà ai soldati armi più forti, e dovunque va porta buona fortuna, perocchè il suo nome solo mette lo spavento nel cuore ai nemici (1).

Sentendo che l'Etruria raccolta nel tempio di Voltunna fremeva guerra contro Roma, e che a quel fremito rispondevano gli Equi e i Volsci (2), Cammillo fece grandi apparecchi, armò giovani e vecchi, e oppose ai nemici tre eserciti. Andò dapprima contro i Volsci, disertò i loro campi, li vinse col ferro e col fuoco a Lanuvio, oppresse a Bola le bande degli Equi, e poi corse contro gli Etruschi, li vinse due volte a Sutri, e tornò a Roma in trionfo con molti Etruschi davanti al suo carro. Poco dopo fu presa Nepele: si combattè dalla parte di Tarquinia, e Cortuosa e Contenebra, due luoghi su quel territorio, furono presi e disfatti (3).

In appresso (369) ritroviamo Cammillo sulle terre dei Volsci e nelle vicinanze di Satrico ove era grande adunata di Anziati, di Ernici e di volontarii Latini fece le parti di soldato e di duce, messe in rotta da ogni parte i nemici, e i Volsci rinchiusi in città costrinse ad

(1) Livio VI, 6, 8.

(2) Livio VI, 2.

(3) Livio VI, 2-9, Plutarco, Cammillo.

arrendersi. Anche il Dittatore Cornelio Cosso s' illustrò contro i Volsci fugandoli e trucidandoli pei campi Pontini. A Satrico fu messa una colonia romana, la quale poi è vittima dei Prenestini e dei Volsci usanti crudelmente della vittoria. Onde occorre di nuovo l'opera del gran capitano in cui solo Roma ha fidanza nei grandi pericoli. Cammillo, tribuno per la settima volta, venerando per l'età e pei molti trionfi, andò a Satrico con quattro legioni, e, comecchè infermo, corse ove era più grande il pericolo, rimesse il cuore nel petto ai soldati fuggenti, e impedì grandi sciagure (1).

Nè questa guerra dei Volsci, che anche Livio a gran ragione chiamò fastidiosa, è per anco finita. Essi corrono di nuovo e predano le terre romane, e a frenarli fanno mestieri più eserciti che ardono le case, distruggono le messi e rapiscono i greggi (2). In queste lotte di devastazione barbarica la misera Satrico è data dai Latini alle fiamme, e Anxur città principale dei Volsci alla fine si arrende ai Romani (3).

In questa guerra d'indipendenza fatta senza unità di consigli rimasero fedeli a Roma Tuscolo, Gabio e Labico (4), e si rivoltarono Velitre, Lanuvio, Circeio e Preneste. I Prenestini corsero il territorio romano fino alla porta Collina, e inseguiti furono sconfitti sull' Allia dal Dittatore T. Quinzio Cincinnato, il quale continuando poi la vittoria prese Velitre e Preneste, e le otto castella dipendenti da essa (5).

Così in pochi anni Roma aveva ristabiliti i suoi

(1) Livio VI, 8, 12, 13, 24; Plutarco Cammillo.

(2) Livio VI, 31.

(3) Livio VI, 33.

(4) Livio VI, 21, 25, 26.

(5) Livio VI, 29.

confini dal lato di Etruria, e parte di quelli sulla riva sinistra del Tevere e se di qui non era giunta al suo intento su tutti i punti, aveva già fatto molto resistendo ai più dei sollevati e battendoli. Ora il tempo di ampliare l'imperio si appressa: ma prima di tentare un gran passo è mestieri che tutta la città si trovi concorde è necessario che nella prima ugualità politica e nella prosperità del popolo scomparisca la discordia degli ordini. Roma non può esser grande che a questo patto e a tale intento continuano a lavorare ardentemente tutti coloro che credono ai diritti del popolo e ai destini di Roma.

Nel tempo corso dal Decemvirato all' invasione dei Galli, le sorti dei plebei si erano fatte molto migliori. Molte famiglie erano state chiamate à parte delle pubbliche terre, e le loro proprietà per più anni non avevano sofferto quasi mai le devastazioni di guerra. Di più, la paga data ai soldati dal pubblico gli aveva liberati da un altro carico gravissimo. Tutti vivevano assai prosperamente, e non sembra che vi fosse più necessità di pigliare a prestanza, perchè per circa un mezzo secolo non si odono più lamenti sulla dura applicazione della legge dei debiti. Ma l'invasione dei Galli, la distruzione di Roma, e la devastazione dei paesi all'intorno mútava affatto le cose, e portava miseria dove fu prosperità. Molte cose aveva rapite la violenza dei barbari: molto bisognò spendere per rifare le case, per ricomprare i greggi e gli strumenti di agricoltura. Vi furono gravezze straordinarie per rimettere nei templi l'oro del riscatto, per rifare le mura della città (1). Onde per supplire a tante spese i piccoli possessori

(1) Livio VI, 32.

furono costretti a cercare di denaro, e a gravarsi di grossa somma di debito: e i ricchi, e specialmente i patrizi, tornarono ad essere violenti usurieri, e a fare ogni sforzo per privare i plebei dei diritti assicurati loro da trattati solenni. Le loro prigioni si empirono di poveri : molti portarono le dure catene (1).

Alla vista di questi mali un patrizio si pose in cuore di distruggere la cruda tirannide. Era Marco Manlio liberatore del Campidoglio dall' assalto notturno dei Galli. Era uomo eloquente, forte, audace, famoso per nobili fatti di guerra lo adornavano trenta spoglie di nemici uccisi in battaglia, e quaranta doni avuti dai capi in premio di suo egregio valore: portava sul petto ventitre cicatrici (2).

Egli non poteva portare in pace che fosse perpetuo nelle dittature e nei tribunati Cammillo a cui sentivasi uguale, quel Cammillo che in altri tempi aveva imprecato alla patria. Era pronto a tutto tentare per aver la stima che gli pareva di aver meritato e non si tenendo convenientemente apprezzato dalle genti patrizie, si volse a sostenere le parti della plebe, e per farsi merito con essa usò largamente le sue fortune. Un di incontrandosi in un prode centurione menato in prigione per debiti si affrettò a liberarlo pagando il creditore per lui: poi vendè le sue terre, e ogni sua facoltà spese a liberare quattrocento miseri dalla schiavitù e dalle crudeli catene. Onde tutti i poveri lo celebravano con lodi grandi, e lo chiamavano liberatore e padre della plebe romana. Ei faceva radunate in sua casa sul Campidoglio parlando delle miserie della plebe, della crudeltà degli

(1) Livio VI, 5, 11.

(2) Livio VI, 20; Gellio XVII, 2; Plinio VII, 29.

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