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dogmi e precetti, come pure le conseguenze morali, a tenor delle quali dovevano regolar le loro azioni. Ecco le più fondamentali: ciascuno era obbligato di rivolgersi a Dio, che consideravasi come l'anima del mondo, il principio e fine d'ogni cosa di piacergli, di servirlo, di placarlo, e renderlo propizio co' sagrifizj, e colle preghiere. In conseguenza di ciò doveva mantener le promesse, custodir la fede conjugale, ed esser valoroso, e intrepido nelle battaglie. La credenza di un'altra vita, nella quale sarebbe punito il vizio e premiata la virtù, metteva il colmo a questo edifizio.

Erano persuasi che coloro i quali morivano di malattia o vecchiaja, capitassero a Niflheim, cioè agli appartamenti della Regina dell' Inferno, chiamata Hela o Hella, la quale tormentava i suoi prigionieri con pene più maligne che crudeli fino all' ultimo giorno del mondo che appellavano il crepuscolo degli Dei. Quelli poi che morivano di morte violenta o combattendo valorosamente in battaglia, andavano nel palazzo di Odino, cioè in un luogo di delizie, o Elisio chiamato Valhalla dove menavano lietamente i loro giorni, giuocando, bevendo ed esercitandosi in finti combattimenti, e divertendosi in altra guisa sino al giorno estremo, nel quale dovevano combattere a favor di Odino contro Surtur (il Nero), e i giganti della montagna che cercheranno di levar la vita non meno a Tu che alle altre deità. In fine un gran fuoco purgherà l'Universo, il quale sarà poi tutto rinnovellato. Allora quelli di Valhalla ugualmente che quelli di Niflheim dovranno soggiacere a un giudizio rigorosissimo, col quale, secondo altri principj più giusti, i veri buoni e religiosi saranno premiati eterna

mente nel luogo chiamato Gimle, o Vingolf, cioè palazzo di Amicizia, e i malvagi e trasgressori de' sopraddetti precetti saranno condannati ad eterni supplizj nell'abisso appellato Nastrond, che vale spiaggia de' morti. Correva anche un' altra opinione principalmente presso i Bardi e i Druidi, ch' erano come i ministri della religione, che le anime dopo la morte passassero ad animare non già delle bestie, come sognava Pitagora, ma altri corpi della specie umana, e così di mano in mano sino alla fine del mondo (1). L'una e l'altra credenza inspirava a que' popoli un coraggio, e una fermezza d' animo che li rendeva superiori a qualsivoglia dolore non che alla stessa morte. Non è però da stupirsi se giubilavano per allegrezza allorchè si presentavano alle battaglie, poichè erano persuasi che il morire ne' combattimenti fosse un modo sicuro di giungere alla felicità, come pei cristiani il morir martiri pella fede (2). Quindi una gran parte anzichè morir vergognosamente sul proprio letto per infermità o per vecchiezza eleggevano il suicidio precipitandosi spontaneamente da qualche dirupo, o dandosi in altra guisa violentemente la morte, sperando di giungere in tal modo al palazzo di Odino, o almeno essere trattati meno aspramente da Niflheim.

Oltre all' Essere Supremo i Celti, e gli Sciti ch' erano d'una medesima schiatta, riconoscevano due

(1) Caesar lib. IV. c. 4. Marcellin. lib. XV.

(2) Alacris et fortis philosophia Cimbrorum, et Celtiberorum qui in acie exultant tamquam gloriosi et feliciter vita excessuri. Valer. Max. lib. II. cap. 6. De Hispanis, vide Silium Italicum lib. I. de Germ. Agrip. apud Josephum. Lib. II. 16. Pompon.

altre divinità, che credevano emanate da lui. Siccome i loro Sacerdoti, ch' erano gl'interpreti e custodi della religione, avevano epilogati gli attributi della divinità ne' tre più essenziali, che sono la potenza, la sapienza, e la bontà; quindi il rozzo popolo incominciò a considerarli, ora come tre cause, ora come tre esseri distinti, e più spesso come tre Dei. Trovasi però in quasi tutte le mitologie fatta menzione di tre deità: cioè d'un Essere Supremo, architetto e governatore dell' universo, padre e sovrano degli uomini di una Dea figlia e sposa dell' Essere Supremo, che rappresentavasi ora come un' emanazione della sua sapienza, ora come il principio della fecondità divina; e più spesso come la compagna e il soggetto del suo operare: e di un terzo Dio subordinato, figliuolo e vicerè del supremo, e mediatore fra lui e gli uomini. Quindi i Persiani veneravano il grande Ormazo, la Dea Mitra, e il Dio Mitra; gli Egizj adoravano Osiride, Iside ed Oro; i Greci e i Romani Giove, Minerva, e Appolline; una triplice divinità riconoscevano anche gl'Indiani, e i Cinesi, e i nomi che i Celti, e gli Sciti davano a questa loro triplice deità erano Odino, Frea, e Thor: di Odino abbiamo detto di so pra, parliamo degli altri due.

Frea che ne' secoli posteriori si appellò anche Friga, Fricco, e Goja veneravasi come la figlia e la sposa dell' Essere Supremo. Credevano que' rozzi popoli che l'Essere Supremo si fosse unito a questa prima e più perfetta produzione del suo potere, e che da tal mistico accoppiamento fosse nata la terza deità chiamata Thor. Da Frea è derivato l'odierno Fran che dinota per eccellenza dama, signora, appunto come presso i Francesi chiamasi la Beatis

sima Vergine Notre Dame, e presso i nostri popoli Unser liewa Frau, cioè la nostra cara Signora. I Celti inoltre supponevano che Frea e la terra fossero una medesima cosa. Quindi abbiamo da Tacito (1), che i Germani in generale adorano Erda, cioè la madre terra. E in altro luogo (2): ch'essi venerano la madre degli Dei. Si conferma lo stesso nell' Edda Islandese (3) dove si dice: la terra è la figlia, e la sposa di Tis, o Teut, cioè del Padre universale. Essa era venerata qual dea anche dagli Sciti; poichè Erodoto racconta (4), che Indi-Tirse uno dei principali di quella nazione diede a Dario Re di Persia, che tentava di sottometter que' popoli, questa risposta: Noi non conosciamo altri sovrani, che il cielo nostro avolo, e la terra nostra dea.

Dopo che i Celti ad esempio delle altre nazioni introdussero l'uso dei simulacri e dei tempj, Frea ossia la terra, che riconoscevano qual madre di tutto ciò ch' esiste, e il principio d'ogni fecondità, fu rappresentata con una statua che aveva ambedue i sessi, con alcuni altri geroglifici che la caratteriz-. zavano per la dea della voluttà, dell' amore, della pace, in somma per la venere del settentrione. Cosi era stata figurata nel famoso tempio di Upsal nella Svezia, sedente su due cuscini, avendo alla destra Odino e alla sinistra il dio Thor; dicesi che le donne ricorrevano a lei per ottenere un buon ma

(1) In commune Herthum, idest Terram matrem colunt. De mor. Germ. c. 15.

(2) Matrem Deum venerantur 16. c. 13.

(3) Mallet. Tom. II. Fable V.

Herodot. Melpomene lib. IV.

rito, e le maritate per aver felicità nei parti. Celebravasi la sua festa nella seconda luna crescente dell'anno, e si sagrificava ad esse il porco più grasso che potevasi trovare (1). Il venerdì a lei dedicato si chiamò, e chiamasi tuttavia Freytag, così Friggeroch, cioè rocca di Friga, si denominò la costellazione, detta oggidì il cingolo d'Orione, la quale dopo che fu introdotto il Cristianesimo, si appellò in Germania Mariroch, rocca di Maria .

Questa deità ne' secoli posteriori fu confusa con Frey, il più dolce di tutti gli dei, e con Freya di lui sorella venerata qual dea dell' amore. Molti luoghi del settentrione portano ancora il nome dell' una e dell' altra di queste false divinità. Nella Sassonia havvi un monte chiamato Freyberg, nella Baviera una Città detta Freyssingen, e un'altra nell' Ungheria appellata Freystad. Noi pure abbiamo in Recoaro una Collina chiamata Freyech.

Veniamo a Thor. Questi, come abbiamo detto, credevasi nato dal mistico accoppiamento dell' Essere Supremo con Frea, cioè colla terra. Lo nominarono anche Asa-Thor, Axe-Thor, cioè signor Thor, l'agile Thor. I Persiani davano a questa stessa deità il nome di Mitras, cioè signor mediatore (2). Sì dai Persiani come dai Celti era venerato sotto il simbolo del fuoco o del sole, nel quale credevano che risedesse. E però gli Scandina vj ne' secoli posteriori conservavano ad onor suo, come i Persiani, un fuoco sacro e perenne. Anche gli antichi popoli d'Irlanda indirizzavano il loro cul

(1) Eccard. De orig. Germanor.

(2) Edda Islandese Remarques sur la cinquieme Fable. Vedellallte

Tom. 11.

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