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la interpreta per casa, tugurio o piccolo aggrega to di case. Welle e Bostel erano dunque sinonimi, poichè l' uno e l'altro significava casa o contrada, ove conservavasi per l'inverno ciò ch'era stato raccolto pel vitto degli uomini. Attesta il medesimo Schedio, che nella Germania v' ha tuttavia Rot-Welle-Covelle ed alquanto alterato Wedel Langwedel Soltwedel ec. Dunque ghebar ein pa welle: auz pa welle: durch pa welle: che dicono i nostri popoli, cioè andiamo dentro per la strada, fuori per la strada, oltre per la strada, che conduce al Bostel, significava presso ai loro antenati andiamo dentro, fuori, oltre al VilLaggio.

Siccome la scoperta di questo Villaggio aveva eccitata la mia, e l'altrui curiosità, così non ho mancato di far iscavar parecchie di quelle casette per appagarla in qualche modo, non già colla speranza di trovarvi preziose antichità, quali furono disotterrate, e si disotterrano attualmente nelle città di Ercolano, e Pompei sepolte dalle eruzioni del Vesuvio, mi lusingava nondimeno di trovarvi qualche cosa che servisse ad illustrar in alcun modo l' argomento de' nostri popoli, che fin d' allora io avea per le mani.

Queste casette furono costrutte sotterra; scavandone il terreno si trova il pavimento di esse alla profondità di tre fino a sei piedi, il quale è di sabbia ben calcata, com'è il terreno in quella collinetta. Non è da dire che sieno state interrate e sepolte dalle alluvioni, o da altro accidente; poichè essendo state fabbricate sul colmo del colle, le pioggie non potevano accrescervi, ma sì bene strappare e via portarne il terreno. Sappiamo

poi da Tacito (1) da Mela (2) e da altri, che tale era il costume degli antichi Germani, dei Sarmati, e di tutti i popoli settentrionali, di fabbricare cioè le loro case sprofondandole nella terra, per così difendersi dai rigori del clima freddo nel quale abitavano. Anche i muri sono formati alla maniera che usavano i Germani (3), cioè con pietre informi, e senza il menomo segno di calcina. Riuscivano tuttavia bastevolmente forti, perchè sostenuti esternamente dal terreno. Forse ignoravano l'arte di cuocere le pietre per ridurle in calcina. Nel pavimento d'ogni casetta trovasi una buca circolare circa due piedi larga e tre o quattro profonda, la quale non si sa a qual uso sia stata fatta, se per dare scolo alle acque che penetravano in quelle sotterranee capanne, se per una specie di guardaroba, ovvero per servirsene come di forno a cuocervi le vivande. In una nota al Poema del poeta Scozzese Ossian (4) si dice che si trovano dei piccoli pezzi consimili anche negli antichissimi tugurj d' Irlanda, con entro delle pietre liscie e piatte, e si ha per tradizione che servissero a cuocervi la cacciagione scaldando la buca e le pietre come noi facciamo nei forni. V'ha questo uso di cuocere i porcelletti, i cani, ed altre carni in simili buche altresì nell'isola di Taiti, una delle così dette degli Amici, recentemente scoperte nel Mare Pacifico (5).

1

De Mor. Germ.

(2) De situ Orbis lib. II.

(3) Ne cementorum quidem apud illos aut tegularum usus. Ma teria ad omnia utuntur informi, et citra speciem aut oblectamentum. Tac. De Mor. Germ. c. 16.

Ossian lib. I.

(3) Storia de Viaggi di M. de la Harpe Tom. XXX.

Infatti in una delle nostre casette si trovò quel piccolo pozzo, otturato con quattro o cinque lastre rozzamente rotondate, e sotto l'ultima eravi della

cenere.

Si congettura che i muri delle casette non sormontassero la superficie del terreno, e che il tetto fosse rasente a terra formato di legname e coperto di zolle, o di strame e letame. Così appunto erano costrutte le abitazioni degli antichi Germani descritteci da Tacito (1) il quale dice che facevano le loro stanze sotterra coprendole di molto letame per ripararsi dal gran freddo, e per riporvi le bia de. Le nostre non avevano altro pertugio che la porta la quale era stretta, e molto bassa: per questa doveva entrare il lume e sortire il fumo. La loro forma è per lo più quadrata di circa sedici piedi, ma ve n'ha parimenti di bislunghe, o rettangole. Non vi si scopre alcuna divisione di stanze, e però si crede che quelle buone genti, uomini e donne, grandi e piccoli dormissero tutti alla rinfusa, e presso al fuoco, o sdragiati sulla paglia in compagnia della vacca, del vitello, della troja e della giumenta, con una deliziosa cordialità, come nel secol d'oro. Così appunto costumavano i Germani al tempo di Tacito (2) il quale dice, allevavano tra il medesimo bestiame in su la medesima terra tanto i figli de' padroni che quelli de

servi.

Le casette ancorchè disgiunte una dall'altra all' uso degli antichi Germani a fine di assicurarle da

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gl'incendj, come abbiamo da Tacito (1), si trovano presso che tutte consunte dal fuoco, e in alcuna esistono ancora le travi, quanto eran lunghe del tetto, quasi intere, ma ridotte in carbone. In una ho scoperto segni di vesti ed anche di volatili o polli abbruciati. Reca ancor più meraviglia il trovarvi degli utensili di ferro, di rame e di bronzo, contrassegno che dopo l'incendio non era stato più frugato in quelle casette. Io dicea fra me stesso, e perchè mai le genti, che abitarono queste casupole che certamente dovevano esser poverissimi, non cercarono di ricuperar dopo l'incendio questi loro ordigni che resistono al fuoco? Ciò fa sospettare che sia loro accaduta qualche altra maggior disgrazia, d'essere cioè stati uccisi o sbandati per sempre da questi loro monti, poichè fa risovvenire la calamità che soffersero i popoli della Rezia al tempo che Druso nipote d'Augusto sottomise quella provincia, nella quale comprendevasi anche la nostra isola di monti. Afferma Dione (2) che Druso disfatto ch' ebbe il loro esercito nella valle Lagarina spedì qua e là varie partite di soldati, ad espugnar il restante di quelle genti, con ordine che trovando resistenza mettessero a fuoco e fiamma i villaggi, ed uccidessero, o via ne menassero gli abitanti. Chi sa che una simile sciagura non sia toccata anche a nostri popoli?

Veniamo alle poche cose disotterrate in quegl' incendiati abituri o nei contorni di essi, le quali per bagattelle che siano, non devono essere trascu

(1) Ivi.
(2) Lib. 54.

rate dall'occhio osservatore; poichè una cosa per vile che sia, può illustrarne un'altra più interessante secondo quel detto: res accendunt lumina rebus. Si trovano in copia e presso e dentro quel le casette dei vasellami di terra la maggior parte infranti, cioè pentole di varie grandezze, anche di smisurate, come vasi di agrumi, forse per uso di farvi il bucato, tegami, ciotole e bicchieri di creta più fina e più maestrevolmente lavorati al tornio. Pare che ignorassero la inverniciatura, di cui non si ha scoperto vestigio. E verisimile che ogni famiglia si lavorasse, come gli Ottentotti ed altri selvaggi, gli ordigni e gli utensili più necessarj · Si trovò infatti indizio di una fucina da fabbro. Sono poi frequentissime certe mezze pallottole di terra cotta di figura conica che rassembrano grossi bottoni traforati, i quali probabilmente servirono a conficarvi le tede, o fiaccole di pino selvatico che dovevano adoperare invece di candele, e lucerne per far lume, come usavano ne' primitivi tempi, e costumano ancora i popoli più settentrionali condannati nell'inverno ad una notte lunghissima.

Vi si raccolsero inoltre pezzi di spade, spuntoni, martelli e scalpelli, e un curioso succhiello formato di due grossi fili di ferro attortigliati, e una quantità d'arpioncini che probabilmente avran servito a connettere le tavole invece di chiodi, giacchè di questi non se ne ha mai trovato indizio . Più due pezzetti di piombo grezzo, uno di ventidue, l'altro di quattordici libbre circa, disotterrati lunghesso il muro esterno d'una casetta dove pare che fossero stati seppelliti per occultarli. Più ancora varie fibule di rame maestrevolmente lavorate che gli antichi adoperavano per annodare il sajo, o il

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